giovedì 13 ottobre 2011

Altro addio

La cosa più bella era l’assenza totale di mezzi a motore. Biciclette e cavalli.
Abbiamo preso l’oscar per l’ultima volta in Indonesia. Non che avessimo girato qualche fantomatico film: L’oscar è semplicemente il carrettino, trainato dal cavallo, comune in Indonesia, ma unico mezzo alternativo alla bicicletta qui sulle isolette. Non ho visto nessuno andare semplicemente a cavallo, mi chiedo se sia una cosa culturale o sia stranamente incomprensibilmente proibito.  
E’ stata un po’ dura, come ogni volta, lasciare il posto. Quando mi fermo un po’, quando mischio un pezzetto della mia anima alla sabbia o al cemento non me ne vado mai facilmente, non tanto per la gente, che non ho mai amato in questa parte del paese, ma per il posto stesso. Difficile non amare un piccolo paradiso tropicale, dove tutto costa pochissimo, dormi su un bungalow a dieci metri dal mare, c’è sempre il sole, non esiste polizia, la gente è poca. Ti ci abitui al nulla e l’ozio sa essere una droga sensazionale, dà una dipendenza pericolosa, ma sa essere dolce come il miele.
Quindi via. Sono ora sul traghetto che mi riporta a Bali, faremo tappa a Ubud qualche giorno e se nulla cambia repentinamente la mia prossima nazione sarà il sognato Vietnam, trentesimo paese della mia vita e credo quinta terra di questa parte di viaggio ricominciata a Maggio.
Trenta, lo dico un po’ soddisfatto, ma ancora intimidito guardando le liste di paesi di qualche grande altro viaggiatore. Non son comunque pochi ed io ho tempo. In questo mese e mezzo dovrei inanellarne tre: Vietnam, Laos, Cambogia, prima di tornare in Thailandia, dove sono intenzionato a rimanere per almeno un paio di mesi. Voglio vederla bene questa volta.
Il viaggio fino a Ubud, tra trasferimenti in barca, traghetto e tragitti in minibus è molto lungo e questi giorni c’è vento. Un vento che sembra voler portare via i ricordi di questo splendido mese iniziato con i fantastici amici spagnoli (di cui ieri ho avuto notizie, sono tornati in patria) e che nel mezzo ha avuto un bella settimana corta in compagnia dei due ragazzi di cui ho già parlato, i novelli sposi di Milano. Le giornate sono passate come al solito velocemente, la maggior parte uguali, mattina sveglia presto e subito bagno al mare ancora assonnato, mentre Polly dorme; colazione a base di Pinapple pancake e Lombok coffè; sole e mare; pranzo o su chioschetto fronte mare o in un warung interno all’isola. Principalmente Nasi campur (riso fritto misto), Nasi o Mie goreng ayam  (riso o noodle fritti con pollo) o talvolta un sandwich. Pomeriggio riposino, perché siamo stanchi, magari sull’amaca o su un altro chioschetto fronte mare; due foto, un po’ di internet, e una birretta. Tutto d’introduzione al tramonto, spettacolo incredibile qui, visto che il sole s’addormenta dietro il vulcano, non so se l’avevo già scritto, ma è qualcosa che ti rimane dentro. Cena generalmente a base di pesce alla brace di legna, in uno dei ristornatini con chioschetto fronte mare e dopo Freedom bar per un po’ di musica dal vivo o direttamente casa, in compagnia dell’amaca e di ricordi Jamaicani, che non possiedi, ma  è come fossero tuoi.
Assolutamente da ricordare una delle più belle sere che si possano passare in viaggio è stata fornita dalla musica. L’ultima delle poche sere piacevoli in compagnia dei nuovi sposi è stata fatta al Freedom bar, dopo un interessantissimo viaggio micotico in cui io sono venuto a conoscenza di essere un cavaliere e giravo lungo la spiaggia dell’isola, in pieno buio, con la mia fedele spada (un pezzo di bamboo) e attraversavo villaggi e stagioni, non so perché. Al Freedom quella sera si son superati, un gruppetto di ragazzi del posto, tra cui l’amico Dedy, si mettono a suonare chitarra e bonghi. Il boss canta e suona con una discreta maestria, ma con una voce graffiante che ti segna anche se è priva di molte parole, Dedy che usava la chitarra come se fosse un basso e un altro ragazzo che ti strimpellava la chitarra in maniera che non crederesti: Quest’ultimo è un vero fenomeno, ho avuto il piacere di riascoltarlo qualche serata a seguire. Abbiam suggerito loro di tentare fortuna in Europa, perché sono davvero forti, la risposta è stata: Nulla vale la pena se devo lasciare la mia isola.
Sta di fatto che in quest’ennesimo chiosco colorato pieno di lucine ci siamo ritrovati noi quattro, più quattro o cinque musicisti, Ellie, una ragazza australiana, simpatica dall’atteggiamento ancora un po’ forzato di una ragazzina che già vuol essere un esperta matura hippie, ma dal sorriso ancora genuino, e pochissimi altri. Ci hanno regalato un concerto con una scaletta delle migliori serate rock: Dagli U2 ai Red Hot, da Cat Stevens a Bob  dylan ai beatles, i Rolling sotnes, Eagles, Joe Cocker, B.B. King e altri.


Non ci siamo fatti mancare nulla, ho pensato ai miei amici spagnoli in quel momento vedendo quanto ci divertivamo e quanto era in estasi il mio amico presente, anche per via di una puntata doppia sul banco del bar: frullato di funghi. Alla serata partecipava una pazzoide che dapprincipio credevamo fosse in viaggio, sempre tutto micotico in stile isola, ma nulla… Era semplicemente una donna con un piede sui quaranta che disperatamente cercava di fare la scema un po’ con tutti, un po’ finta hippie, un po’ finta giovane, un po’ finta donna. Bellissimo che ci sia stata, peccato solo che dopo un po’ era schernita da tutti e lei non se ne accorgeva, qui costruirsi qualcosa, qualche maschera addosso oltre che inutile è nocivo, il posto è talmente scevro di tutto che se ti metti una maschera è come se brillassi e puzzassi allo stesso tempo. Da aggiungere l’immancabile personaggio, irlandese, velocemente soprannominato in tutte le lingue presenti “il coglione”:  La faccia un po’ scemotta, l’abbigliamento un po’ scemotto ha preso una chitarra e ha iniziato a suonare per conto suo, in maniera tremenda,  mentre circa a un metro aveva i ragazzi che stavano offrendo tutta la magia della serata con la loro musica, fino a che una ragazza, dolcemente  stile pit bull gli ha ORDINATO di fare silenzio. Mi aggiungo anche io al “concerto” trovando un bellissimo bongo orfano di artista e piano piano mi accodo al ritmo e mi allego, un po’ in sordina, ma piacevolmente accettato dal complessino. Il coglione prende spunto trova due bonghetti più piccoli e inizia a martellarci sopra poco piacevolmente, questo in faccia ad un ragazzo che vistosamente avvelenato di un qualcosa,  probabilmente era eroina, si era rilassato in mezzo a noi ascoltando la musica ad occhi chiusi, trovando (spero almeno in quel momento) la pace e il piacere che cercava. Il ragazzo apre gli occhi, ma nulla, il coglione è partito e prosegue finché il concertino smette, il ragazzo se ne va sconsolato e guardando tutti (tutti eravamo concordi a prendere un po’ in giro il coglione). La serata finisce con il coglione che ancora batte non si sa per chi, tra le risate e qualche saluto perché il giorno dopo la nostra coppia d’amici parte e noi un po’ dispiaciuti per l’ennesima perdita ci riconsoleremo con il mare e le giornate d’ozio sopra descritte. So che non devo affezionarmi troppo alle persone che incontro in questi viaggi, ma non ci posso fare niente. Abbiamo trovato amici in spagna e in Italia, non ci perderemo grazie alla moderna tecnologia dei social network, ma sarà tanto il tempo che scorrerà prima di ritrovarci.
Polly ora dorme su una delle panchine del traghetto e io, come detto, scrivo. Spero che le mie parole arrivino da qualche parte, spero di far venir la voglia a chi mi ascolta di conoscere il mondo, sapendo che per quanto possa raccontare, con le parole riesco a descrivere solo poco degli infiniti momenti che vivo e che mi riempiono ogni giorno di emozioni, di aneddoti da raccontare, insomma d’esperienza di vita in presa diretta.
Ciao ai miei nuovi amici in Italia e ciao a questo posto meraviglioso. Ora ho fame e so che dopo ricorderò di non aver scritto troppe cose essenziali, ma come ogni volta quando una pagina è scritta rimane lì, il resto si vede che non era destinato a chi non l’ha vissuto augurandomi che possa viverne altrettanto.
Sono curioso di questi cinque giorni, di questo cuore balinese che molti hanno visto e di cui sento versioni differenti, la testa però è già a Ho Chi Min e sul Mekong, nomi che hanno un potere evocativo per me grandissimo e so che non mi deluderanno. L’ultima volta che andai in un luogo da cui ero attratto “vocalmente” rimasi molto deluso, era quella fogna di Casablanca.
Ricoro un ultima cosa, una momento bellissimo ero con il mio amico di Milano, con rispettive compagne, per andare a cena, si ferma sulla passeggiata tra i ristoranti costruiti sulla sabbia, dove intorno ci sono tutte lucine che danno un effetto soft e un poco fluorescente, dove se hai appena pregato rasta fari con sotto Jammin’ ti sembrerà di essere in un altro mondo, lì lui si ferma ed esclama: “Altro ceh via condotti, via monte napoleone o non so cosa:Questa è la via più bella del mondo”.  A me s’è schiuso il cuore, detto poi da un italiano abituato a Napoli, Roma, Firenze, Milano, vale doppio. Qualcun altro ha visto la bellezza del mondo nei luoghi più semplici: una vietta sulla sabbia con tre lucine messe in croce e due ristorantini costruiti alla meglio con il legno. E’ bello sapere che non sei l’unico matto.

1 commento:

  1. Non smettere di scrivere... le tue parole hanno l'effetto che vuoi, sono contenta che mio fratello ha aiutato a svegliare parte delle tue emozioni...adesso capisco un po di piú a Mirko.
    Noemi Gegundez

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