sabato 29 ottobre 2011

SAIGON E IL GRANDE MEKONG


Motorini.
E’ la prima parola che mi viene in mente pensando a Ho Chi Minh, che amo chiamare ancora Saigon. Chiunque ci sia stato vi potrà dire questa cosa dei motorini, è scritto poi su ogni tipo di guida turistica (tra l’altro più vado avanti e più trovo la Lonley Planet la peggiore della categoria, ma come sempre il marketing fa la differenza, utile cmq in certi casi, addirittura fuorviante in altri), ma effettivamente finché non vieni non capisci cosa vuol dire nuotare tra i motorini per attraversare una piccola strada. A Saigon c’è traffico ed è creato esclusivamente dai motorini. Riuscite a comprendere il traffico creato dai motorini, un mezzo che da noi è utilizzato per evitarlo questo benedetto traffico. Una cosa disumana. Migliaia e migliaia di motorini ovunque ad ogni ora.
Fa quasi ridere e aggiungendo il fatto che come in ogni paese dell’Asia, di questa zona dell’Asia, forse ad eccezione del Giappone, le regole stradali, le più basiche, non vengono rispettate. Potete comprendere il caos che c’è nella capitale Vietnamita, che non è la capitale lo so. Quella è Hanoi, ma alzi la mano chi è ancora convinto sia Saigon. Questo è caos, non quello di Hong Kong! Per strada è un casino totale. Un quadro neorealista coloratissimo ed effimero. almeno nei suoi colori. Lo trovo estremamente affascinante, andare in quattro su un motorino è abbastanza normale, poco bello quando vedi che i quattro sono due adulti con casco e due neonati, priva di ogni accorgimento verso la loro incolumità, quasi non capissero i genitori che in caso di piccolo incidente per loro c’è una morte molto probabile.
Sempre innumerevoli, almeno rispetto a ciò che ci si attende è la presenza di persone disabili dalla nascita. I problemi fisici, di norma pesantissimi ed totalmente limitanti, sono dei più svariati, ti stringe il cuore ogni attimo. Ci si può domandare come mai questa presenza così inquietante. La risposta è purtroppo semplice: La guerra.
La guerra dalla quale ci si attendono morti e mutilazioni qui inoltre possiede il fardello eredità di una delle più stupide e inutili tra esse, se mai ne potete trovare di utili e intelligenti: The American war. Guerra del Vietnam per noi occidentali.
Anche se Full metal racket c’è piaciuto tantissimo.
Spesso come per i cowboy che massacravano le popolazioni indigene, abbiamo tifato per i nipoti dello zio tom, che hanno massacrato un paese con armi non convenzionali. Un arma uccide, è sbagliata a prescindere, ma tra uccidere un uomo con una pallottola e farlo bruciare con il fosforo o avvelenandolo con la diossina, principio attivo dell’”agent orange”, è disumano.
Gli avvelenati, tantissimo, hanno dato vita e ancora oggi succede, a malformazioni e disordini di ogni tipo. Incontabili sono i nati morti o con disfunzioni o ancora mancanze così gravi che sono morti dopo pochi mesi o pochi giorni aver visto luce. Moltissimi possono vivere e vivono a quanto pare con un grande orgoglio e un grande odio.
Se vieni a Saigon torni a pensare a quei film, a quel “bastardo muso giallo”, ripensi a quell’America, gli stati uniti, che mi piace tanto, nonostante suoi enormi problemi, le sue incommensurabili differenze e il suo potere troppo spesso usato per aumentare un egemonia non voluta dai suoi stessi cittadini. Molti figli americani sono nati con seri problemi a causa dell’avvelenamento involontariamente inflitto anche ai suoi stessi figli. Involontariamente, ma ci potevano pure pensare. Capisco che tu vuoi vincere la guerra, ma non ci pensi che se getti un defoliante chimico non solo devasti le foreste, ma ammazzi uomini atrocemente e li violenti nell’anima, li rendi portatrici di vita infelice per generazioni. Non capisco come, anche se in guerra, possa venire meno l’umanità a questo livello. Arrivo addirittura a comprendere gli ignoranti soldati, ma il genio che l’ha pensata, quello, quello è peggio di Hitler e Stalin messi insieme. Quel personaggio è alla stregua di Pol Pot.
Devo andare oltre e lo faccio, ma ogni tanto il pensiero ritorna. Il Ciu chi tunnels, i tunnel scavati e utilizzati dai viet minh prima e ampliati e resi famosi dai viet cong poi, sono un bel pezzo di storia da visitare, dove vedi uno dei modi come “il nemico” ha tenuto fronte al nipote a stelle e strisce, producendo ovviamente altra violenza e altre barbarie. Questo a due ore da Saigon. Il museo dell’American war invece interno alla città è povero, più che altro fotografico (di questo ne sono contento), ma estremamente forte, duro.
Esplicativo.
Saigon, come ho detto, è affascinante, davvero poco bella, forse meno di Jakarta, ma ancora più attraente. Come una puttana datata. Credo abbia forti somiglianze con Bangkok, sottolineo credo perché di Bangkok ancora non posso parlare, rivedrò il prossimo mese.
Pham ngu lau è ricco di vita e di notte si accende come una Las Vegas, ma lurida e senza gioco d’azzardo. E’ “traffichina”, se volessi usare un termine che amavo qualche anno fa. Questo è il quartiere definito “dei backpakers”, perché si trovano gli alberghi più economici ed è il centro delle agenzie turistiche specializzate in visite locali. Alcool a fiumi ed accessibile a prezzi tra i più economici al mondo, credo anzi il Vietnam abbia il record per il prezzo più basso al mondo per l’alcool. Si può trovare una bottiglia importata, referenza standard, a sessanta centesimi di euro. Stesso prezzo la locale. Dicevo, alcool a fiumi e droghe, economiche anch’esse ad ogni angolo, nonostante la forte presenza di polizia. Non mancano alcuni reduci americani, sembra ce l’abbiano scritto in fronte, ma purtroppo è perché la loro desolazioni è spesso facilmente visibile. Li vedi che si incantano, letteralmente, posata la birra tracannata, o mentre girano un piccolo spino di marjuana locale, noncuranti della divisa verde alle spalle.
Sigarette? Zippo (va tantissimo)? Marjuana? Coca?
…E io convinto che ‘sto posto fosse inondato d’oppio. Ingenuo.
Canto. Nel senso che spostiamo accanto. No, volevo dire a Canto. Can Tho.
Ero estremamente curioso di vedere il Mekong, un fiume dal nome altamente evocativo, sempre per la vicenda di cui sopra e per alcuni imperdibili film, come Apocalipse Now.
E’ meta quasi obbligata se si visita il Mekong non solo per spiagge e mignotte, il delta del grande Mekong. I pesi sono molti, per quanto ci riguarda abbiam deciso di vederne solo uno tra i quattro cinque più famosi e abbiamo scelto Can Tho. Qualcosa perderemo, ma avendo solo un mese per tutto il Vietnam, qualcosa si deve perdere, come molto abbiamo perso in Indonesia ( in quel caso anche per esserci fermati un mese in un paradiso, ma ogni tanto un po’ di paradiso fa bene anche alla pelle, oltre che all’anima). La scelta è caduta su questa cittadina per via del mercato galleggiante. Ce ne sono molti sui paesi del delta, ma questo è il più grande in assoluto, deve essere uno spettacolo affascinante di cui potrò godere domani mattina. Riferirò.
Una volta l’anno il Mekong sale di livello, questo ovviamente la guida non lo dice (sarebbe interessante farmi spiegare a cosa serve sta guida oltre alla mappa e alla lista per dormire), non so se solo su questo braccio del delta e per un paio d’ore sommerge Can tho, almeno per metà.
Avevo visto dei tombini straripati appena arrivato, ma come potevo pensare di ritrovarmi a camminare scalzo per il paese tra la marronissima acqua de sto maledetto Mekong?
Davvero, è stato un bell’impatto all’inizio, ma ci siamo ammazzati da ridere dopo. Da ammirare lo spirito d’adattamento del mia super naif Polly. Dopo un paio di che schifo a testa, un sedici diciassette “che Dio ce la mandi buona”, ci siamo tolti scarpe e calzini e siamo andati verso la guest house immergendo i piedi nell’acqua che aveva un colore che più sconfortante è difficile, anche se non so fosse realmente stato più inquinato del biondo (??) Tevere.
Teoricamente, come tutti i turisti dopo aver capito che non potevamo tornare all’albergo ci saremmo potuti fermare e attendere. E’ che abbiamo scoperto che il livello torna normale dopo un paio d’ore solo “nel mezzo del cammin di nostro Mekong”. Ormai i piedi zuppi, in un paio di casi quasi fino alle ginocchia, e le guance doloranti dalle risate non ci hanno consentito alla nostra voglia d’esperienza di fermarci. Ormai eravamo dentro, dentro si balla, c’è poco da fare. Poter raccontare anche questo poi, anche se sarà più utile un video e qualche foto, è qualcosa per me di irrinunciabile. Detto questo ho più volte rischiato di spezzarmi un dito, il piede o la caviglia, perché capiamoci, eravamo in mezzo alla strada, ci sono buche, tombini, cose di ferro che spuntano dall’asfalto e servono normalmente a qualcosa, insomma le risate non finivano, ma pure le urla se ci fosse andata male. Se Mi fosse andata male, perché senza dubbio ho fatto da cavia e battistrada per la mia inesauribile compagna.
Ora siamo in camera, questa è davvero una guest house, nel senso più stretto del termine, le stanze, sono dentro la casa di un famiglia le cui due figlie si stanno preparando per non so quale serata, anche se così vestite sembrano massaggiatrici (di quelle col massaggio extra).
Mi tocca terminare perché Polly sclera ( adire il vero lei fa i capricci), vuole andare a mangiare e bisogna trovare un collegamento internet, qui è stato quasi impossibile fin’ora comprare una scheda sim per il collegamento. Non che non ci sia, ma non riesco a farmi capire che mi serve una scheda dati, e non una per il traffico telefonico. A Saigon ho trovato troppo tardi i negozi che le vendevano e qui quella più brava con l’inglese ha difficoltà a capire bene la differenza tra yes e no. Come mia nonna che non capirà mai tra On e Off quale sia acceso e quale spento. Insomma siamo al buio, tecnologicamente parlando.
Vi giuro, non so se sono riuscito  a farlo trasparire, a trasmetterlo, ma fare quella sporca e malsana passeggiata a piedi nudi è stato un qualcosa che non dimenticherò per il resto della vita.

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