sabato 29 ottobre 2011

SAIGON E IL GRANDE MEKONG


Motorini.
E’ la prima parola che mi viene in mente pensando a Ho Chi Minh, che amo chiamare ancora Saigon. Chiunque ci sia stato vi potrà dire questa cosa dei motorini, è scritto poi su ogni tipo di guida turistica (tra l’altro più vado avanti e più trovo la Lonley Planet la peggiore della categoria, ma come sempre il marketing fa la differenza, utile cmq in certi casi, addirittura fuorviante in altri), ma effettivamente finché non vieni non capisci cosa vuol dire nuotare tra i motorini per attraversare una piccola strada. A Saigon c’è traffico ed è creato esclusivamente dai motorini. Riuscite a comprendere il traffico creato dai motorini, un mezzo che da noi è utilizzato per evitarlo questo benedetto traffico. Una cosa disumana. Migliaia e migliaia di motorini ovunque ad ogni ora.
Fa quasi ridere e aggiungendo il fatto che come in ogni paese dell’Asia, di questa zona dell’Asia, forse ad eccezione del Giappone, le regole stradali, le più basiche, non vengono rispettate. Potete comprendere il caos che c’è nella capitale Vietnamita, che non è la capitale lo so. Quella è Hanoi, ma alzi la mano chi è ancora convinto sia Saigon. Questo è caos, non quello di Hong Kong! Per strada è un casino totale. Un quadro neorealista coloratissimo ed effimero. almeno nei suoi colori. Lo trovo estremamente affascinante, andare in quattro su un motorino è abbastanza normale, poco bello quando vedi che i quattro sono due adulti con casco e due neonati, priva di ogni accorgimento verso la loro incolumità, quasi non capissero i genitori che in caso di piccolo incidente per loro c’è una morte molto probabile.
Sempre innumerevoli, almeno rispetto a ciò che ci si attende è la presenza di persone disabili dalla nascita. I problemi fisici, di norma pesantissimi ed totalmente limitanti, sono dei più svariati, ti stringe il cuore ogni attimo. Ci si può domandare come mai questa presenza così inquietante. La risposta è purtroppo semplice: La guerra.
La guerra dalla quale ci si attendono morti e mutilazioni qui inoltre possiede il fardello eredità di una delle più stupide e inutili tra esse, se mai ne potete trovare di utili e intelligenti: The American war. Guerra del Vietnam per noi occidentali.
Anche se Full metal racket c’è piaciuto tantissimo.
Spesso come per i cowboy che massacravano le popolazioni indigene, abbiamo tifato per i nipoti dello zio tom, che hanno massacrato un paese con armi non convenzionali. Un arma uccide, è sbagliata a prescindere, ma tra uccidere un uomo con una pallottola e farlo bruciare con il fosforo o avvelenandolo con la diossina, principio attivo dell’”agent orange”, è disumano.
Gli avvelenati, tantissimo, hanno dato vita e ancora oggi succede, a malformazioni e disordini di ogni tipo. Incontabili sono i nati morti o con disfunzioni o ancora mancanze così gravi che sono morti dopo pochi mesi o pochi giorni aver visto luce. Moltissimi possono vivere e vivono a quanto pare con un grande orgoglio e un grande odio.
Se vieni a Saigon torni a pensare a quei film, a quel “bastardo muso giallo”, ripensi a quell’America, gli stati uniti, che mi piace tanto, nonostante suoi enormi problemi, le sue incommensurabili differenze e il suo potere troppo spesso usato per aumentare un egemonia non voluta dai suoi stessi cittadini. Molti figli americani sono nati con seri problemi a causa dell’avvelenamento involontariamente inflitto anche ai suoi stessi figli. Involontariamente, ma ci potevano pure pensare. Capisco che tu vuoi vincere la guerra, ma non ci pensi che se getti un defoliante chimico non solo devasti le foreste, ma ammazzi uomini atrocemente e li violenti nell’anima, li rendi portatrici di vita infelice per generazioni. Non capisco come, anche se in guerra, possa venire meno l’umanità a questo livello. Arrivo addirittura a comprendere gli ignoranti soldati, ma il genio che l’ha pensata, quello, quello è peggio di Hitler e Stalin messi insieme. Quel personaggio è alla stregua di Pol Pot.
Devo andare oltre e lo faccio, ma ogni tanto il pensiero ritorna. Il Ciu chi tunnels, i tunnel scavati e utilizzati dai viet minh prima e ampliati e resi famosi dai viet cong poi, sono un bel pezzo di storia da visitare, dove vedi uno dei modi come “il nemico” ha tenuto fronte al nipote a stelle e strisce, producendo ovviamente altra violenza e altre barbarie. Questo a due ore da Saigon. Il museo dell’American war invece interno alla città è povero, più che altro fotografico (di questo ne sono contento), ma estremamente forte, duro.
Esplicativo.
Saigon, come ho detto, è affascinante, davvero poco bella, forse meno di Jakarta, ma ancora più attraente. Come una puttana datata. Credo abbia forti somiglianze con Bangkok, sottolineo credo perché di Bangkok ancora non posso parlare, rivedrò il prossimo mese.
Pham ngu lau è ricco di vita e di notte si accende come una Las Vegas, ma lurida e senza gioco d’azzardo. E’ “traffichina”, se volessi usare un termine che amavo qualche anno fa. Questo è il quartiere definito “dei backpakers”, perché si trovano gli alberghi più economici ed è il centro delle agenzie turistiche specializzate in visite locali. Alcool a fiumi ed accessibile a prezzi tra i più economici al mondo, credo anzi il Vietnam abbia il record per il prezzo più basso al mondo per l’alcool. Si può trovare una bottiglia importata, referenza standard, a sessanta centesimi di euro. Stesso prezzo la locale. Dicevo, alcool a fiumi e droghe, economiche anch’esse ad ogni angolo, nonostante la forte presenza di polizia. Non mancano alcuni reduci americani, sembra ce l’abbiano scritto in fronte, ma purtroppo è perché la loro desolazioni è spesso facilmente visibile. Li vedi che si incantano, letteralmente, posata la birra tracannata, o mentre girano un piccolo spino di marjuana locale, noncuranti della divisa verde alle spalle.
Sigarette? Zippo (va tantissimo)? Marjuana? Coca?
…E io convinto che ‘sto posto fosse inondato d’oppio. Ingenuo.
Canto. Nel senso che spostiamo accanto. No, volevo dire a Canto. Can Tho.
Ero estremamente curioso di vedere il Mekong, un fiume dal nome altamente evocativo, sempre per la vicenda di cui sopra e per alcuni imperdibili film, come Apocalipse Now.
E’ meta quasi obbligata se si visita il Mekong non solo per spiagge e mignotte, il delta del grande Mekong. I pesi sono molti, per quanto ci riguarda abbiam deciso di vederne solo uno tra i quattro cinque più famosi e abbiamo scelto Can Tho. Qualcosa perderemo, ma avendo solo un mese per tutto il Vietnam, qualcosa si deve perdere, come molto abbiamo perso in Indonesia ( in quel caso anche per esserci fermati un mese in un paradiso, ma ogni tanto un po’ di paradiso fa bene anche alla pelle, oltre che all’anima). La scelta è caduta su questa cittadina per via del mercato galleggiante. Ce ne sono molti sui paesi del delta, ma questo è il più grande in assoluto, deve essere uno spettacolo affascinante di cui potrò godere domani mattina. Riferirò.
Una volta l’anno il Mekong sale di livello, questo ovviamente la guida non lo dice (sarebbe interessante farmi spiegare a cosa serve sta guida oltre alla mappa e alla lista per dormire), non so se solo su questo braccio del delta e per un paio d’ore sommerge Can tho, almeno per metà.
Avevo visto dei tombini straripati appena arrivato, ma come potevo pensare di ritrovarmi a camminare scalzo per il paese tra la marronissima acqua de sto maledetto Mekong?
Davvero, è stato un bell’impatto all’inizio, ma ci siamo ammazzati da ridere dopo. Da ammirare lo spirito d’adattamento del mia super naif Polly. Dopo un paio di che schifo a testa, un sedici diciassette “che Dio ce la mandi buona”, ci siamo tolti scarpe e calzini e siamo andati verso la guest house immergendo i piedi nell’acqua che aveva un colore che più sconfortante è difficile, anche se non so fosse realmente stato più inquinato del biondo (??) Tevere.
Teoricamente, come tutti i turisti dopo aver capito che non potevamo tornare all’albergo ci saremmo potuti fermare e attendere. E’ che abbiamo scoperto che il livello torna normale dopo un paio d’ore solo “nel mezzo del cammin di nostro Mekong”. Ormai i piedi zuppi, in un paio di casi quasi fino alle ginocchia, e le guance doloranti dalle risate non ci hanno consentito alla nostra voglia d’esperienza di fermarci. Ormai eravamo dentro, dentro si balla, c’è poco da fare. Poter raccontare anche questo poi, anche se sarà più utile un video e qualche foto, è qualcosa per me di irrinunciabile. Detto questo ho più volte rischiato di spezzarmi un dito, il piede o la caviglia, perché capiamoci, eravamo in mezzo alla strada, ci sono buche, tombini, cose di ferro che spuntano dall’asfalto e servono normalmente a qualcosa, insomma le risate non finivano, ma pure le urla se ci fosse andata male. Se Mi fosse andata male, perché senza dubbio ho fatto da cavia e battistrada per la mia inesauribile compagna.
Ora siamo in camera, questa è davvero una guest house, nel senso più stretto del termine, le stanze, sono dentro la casa di un famiglia le cui due figlie si stanno preparando per non so quale serata, anche se così vestite sembrano massaggiatrici (di quelle col massaggio extra).
Mi tocca terminare perché Polly sclera ( adire il vero lei fa i capricci), vuole andare a mangiare e bisogna trovare un collegamento internet, qui è stato quasi impossibile fin’ora comprare una scheda sim per il collegamento. Non che non ci sia, ma non riesco a farmi capire che mi serve una scheda dati, e non una per il traffico telefonico. A Saigon ho trovato troppo tardi i negozi che le vendevano e qui quella più brava con l’inglese ha difficoltà a capire bene la differenza tra yes e no. Come mia nonna che non capirà mai tra On e Off quale sia acceso e quale spento. Insomma siamo al buio, tecnologicamente parlando.
Vi giuro, non so se sono riuscito  a farlo trasparire, a trasmetterlo, ma fare quella sporca e malsana passeggiata a piedi nudi è stato un qualcosa che non dimenticherò per il resto della vita.

venerdì 21 ottobre 2011

Last Days e .... oggi dovevo essere in Vietnam!





Scrivo in questa piccola casa, dove sono già stato, Jakarta. Casa di Yudi.
Raccontare, scrivere è sempre bello, perché rispolveri e rivivi quei momenti bellissimi che hai passato da poco, rivedi i saluti e i sorrisi degli amici e sorridi anche tu. Rivedo questo video della danza tipica balinese, precisamente una lezione di danza e ricordi di pochi giorni fa comunque lucidi, brillano.
Riprendo velocemente: Ubud. E’ bali, quindi di per sé è un posto abbastanza conosciuto, ci son stati in molti. Bellissima, è la vera Bali, quello che l’isola era prima che venisse l’ondata di surfisti soprattutto australiani e che inevitabilmente ha cambiato l’isola e come ho detto in passato corrotto molte anime per il denaro.
Bali è anche se turistica, ancora semi intatta in questo. Le donne balinesi sono le lavoratrici, grandi e forti lavoratrici, quelle che costruiscono palazzi, quelle che mandano avanti gli alberghi, i ristoranti, che fanno le strade e tutto. Gli uomini sono quelli che spendono, quelli che i vestono da “donna” (questo non è vero, è un mio modo di dire, qui i balinesi vestono ancora tradizionalmente ovvero con sarong – pareo – molto colorato e una sorta di fascia in testa molto colorata), non fanno nulla spesso giocano d’azzardo soprattutto con le lotte tra galli, cosa in decente che non ho visto, ma me ne son pentito perché potevo tirar fuori un bel reportage. Forse rimedierò in Thailandia.
Quindi a Bali è più facile ritrovare il vero spirito del luogo, ritrovi gente con un sorriso vero, ritrovi cordialità no sempre per secondo fine, cortesia, simpatia e voglia di chiacchierare con un bulè, straniero bianco. Abbiamo avuto la fortuna di avere un nuovo amico appena arrivato, un ragazzo molto simpatico, medico radiologo olandese dal sangue (e i genitori) indonesiani, lui vuole nome e cognome qui sopra: David Zitter. Bella persona, a volte da stargli appresso come un bambino quando si gira, ce lo perdevamo sempre, ma simpatico, utile (uno di quelli che chiede tutto a tutti, e poi sapendo un po’ d’indonesiano…). Ci siamo fatti belle risate, che dire, un’altra persona da andare a trovare in un futuro non troppo prossimo.
Con David abbiamo visto Mas, niente di speciale, ma è interessante andare a visitare le fabbriche di 
“wood carving”, gli artisti che scolpiscono e incidono il legno, davvero notevoli, non l’avrei detto. Abbiamo fatto il bagno nell’Ayung river, un piccolo fiume che scorre in una vallata tra terrazzamenti, vallata acquistata ora in parte da un albergo piuttosto famoso, che è stato mi sembra luogo di un film con Julia Roberts abbastanza recentemente.
 Jatiluwih, - video sotto - le terrazze di riso più grandi di Bali e forse dell’Indonesia, vista davvero forte,
 d’impatto, dove capisci ancora di più sul riso e sulla storia di questo cereale che ha cambiato il mondo qualche migliaio di anni fa. Al ritorno ci siamo imbattuti in un corteo  motorini e altro per dei festeggiamenti relativi a qualche vittoria di una squadra di calcio locale, molto divertente devo dire.




 La cosa più bella che per ora si pone nella “top list” è Gunung Kawi, visitato il giorno prima, è un tempio, stile indiana Jones, induista, in una piccolissima vallata dove scorre un fiume tra palme, pseudo liane e terrazzamenti di riso, tutto insieme sono qualcosa di magico e unico. Uno spettacolo vero e credo irripetibile che mi ha fatto venire voglia di andare in Cambogia a trovare il tempio dove è stato ambientato il personaggio di Lara Croft, vicino Anchor.






La mia top list? Evitando città e menzionando solo luoghi per ora è senza ordine di importanza:
 - il deserto del Sahara
 - la spiaggia di El Gizra in Marocco
 - l’isola di Marettimo in Italia
 - Gunung Kawi in Indonesia
 - Soro, Pinar del Rio a Cuba 
Credo  dovrò aggiornarla quest’anno avendo già programmato (per quanto la parola programma possa contare con me) due mesi di Thailandia, uno di Vietnam e uno tra Laos e Cambogia, tutto a partire da… ieri che sarà domani. In che senso? Nel senso che oggi volevo svegliarmi e urlare il titolo di quel film famosissimo di Robin Willam in Vietnam, perché dovevamo atterrare ieri sera e invece… E invece non c’ho capito nulla per il ho letto e mi è stato detto che si poteva fare in aeroporto, come vale per l’Indonesia, invece no: In aeroporto te lo danno, ma devi fare la richiesta online, quindi nulla, dovrebbe arrivare oggi e abbiamo spostato il volo di due giorni. Nell’inconveniente siamo anche stati fortunati, perché è successo a Jakarta, dove ancora abbiamo dei giorni per restare, dove abbiamo degli amici conosciuti appena arrivati e dove uno di questi, Yudi, ci può ospitare, alleviando subito il dolore per il “contrattempo”. Tutto bene quindi, sono cose che fanno parte del tutto.
Venivamo da Kuta, dove non saremmo voluti tornare, ma visto che da Ubud avevano fatto un passo a Sanur e quest’ultima per via dell’anzianità media del turismo, delle spiagge non belle della presenza principalmente di resort e strade a scorrimento più alto, davvero non ci è piaciuta. Mancavano un paio di giorni alla partenza decisa e prenotata ad Ubud, quindi ormai abbiam detto Kuta, anche se non ci piace è meglio di qui e almeno andiamo a trovare Létto, il dolce cagnolino che ci aveva rubato il cuore l’ultima sera balinese prima di Lombok più di un mese fa. Létto ci deve proprio ringraziare, l’abbiam tolto dalla strada e ora sembra davvero felicissimo, cresciuto poco poco, saltellante e in compagnia di un altro cane di casa se la scodinzola senza tregua tra i mille abbracci e le mille attenzioni di una casa affollata, ma grande e con spazi aperti. Ci siam permessi di disturbare la famiglia per andare a trovarlo, diavolo, gli abbiamo regalato un cagnolino fantastico! Senza alcun problema ci hanno accolto e fatto entrare, in quella casa sembrava di essere nuovamente a Ubud, senza tutti i tizi di Kuta che continuamente ti pressano (Yes boss? Yes? Brother? Shopping? Mushroom? Transport transoport? Yes? New Tatto?).
L’ultimo giorno è stato semplicemente un respirare lentamente i ricordi, facendoli decantare in caraffa come il miglior Porto Vintage.
Non fosse per la “svista” saremmo nella vecchia Saigon, Ho Chi Min City, invece son ancora qui a Jakarta, con Polly che come ti sbagli dorme, sono le dieci di mattina, è anche normale, tanto oggi ci sarà poco da fare e con i miei ricordi dai quali imi faccio assalire con piacere.

LE BIRRE:
devo fare un lista delle birre che metterò a fianco, a partire da  Hong Kong, ovvero da dove il grande viaggio è partito o meglio ripreso. Non amo bere birre comuni, soprattutto in questi paesi. Ora la posto qui:

Hong Kong---> Breuk (in casa) Hoegaarden (fuori)
Thailandia-----> Singha (la competizione con la Chang è durata davvero poco)
Malesia --------> Tiger
Indonesia------> Bintang (della quale mi son preso una maglietta in onore ai litri tracannati in questi due mesi)



giovedì 13 ottobre 2011

Altro addio

La cosa più bella era l’assenza totale di mezzi a motore. Biciclette e cavalli.
Abbiamo preso l’oscar per l’ultima volta in Indonesia. Non che avessimo girato qualche fantomatico film: L’oscar è semplicemente il carrettino, trainato dal cavallo, comune in Indonesia, ma unico mezzo alternativo alla bicicletta qui sulle isolette. Non ho visto nessuno andare semplicemente a cavallo, mi chiedo se sia una cosa culturale o sia stranamente incomprensibilmente proibito.  
E’ stata un po’ dura, come ogni volta, lasciare il posto. Quando mi fermo un po’, quando mischio un pezzetto della mia anima alla sabbia o al cemento non me ne vado mai facilmente, non tanto per la gente, che non ho mai amato in questa parte del paese, ma per il posto stesso. Difficile non amare un piccolo paradiso tropicale, dove tutto costa pochissimo, dormi su un bungalow a dieci metri dal mare, c’è sempre il sole, non esiste polizia, la gente è poca. Ti ci abitui al nulla e l’ozio sa essere una droga sensazionale, dà una dipendenza pericolosa, ma sa essere dolce come il miele.
Quindi via. Sono ora sul traghetto che mi riporta a Bali, faremo tappa a Ubud qualche giorno e se nulla cambia repentinamente la mia prossima nazione sarà il sognato Vietnam, trentesimo paese della mia vita e credo quinta terra di questa parte di viaggio ricominciata a Maggio.
Trenta, lo dico un po’ soddisfatto, ma ancora intimidito guardando le liste di paesi di qualche grande altro viaggiatore. Non son comunque pochi ed io ho tempo. In questo mese e mezzo dovrei inanellarne tre: Vietnam, Laos, Cambogia, prima di tornare in Thailandia, dove sono intenzionato a rimanere per almeno un paio di mesi. Voglio vederla bene questa volta.
Il viaggio fino a Ubud, tra trasferimenti in barca, traghetto e tragitti in minibus è molto lungo e questi giorni c’è vento. Un vento che sembra voler portare via i ricordi di questo splendido mese iniziato con i fantastici amici spagnoli (di cui ieri ho avuto notizie, sono tornati in patria) e che nel mezzo ha avuto un bella settimana corta in compagnia dei due ragazzi di cui ho già parlato, i novelli sposi di Milano. Le giornate sono passate come al solito velocemente, la maggior parte uguali, mattina sveglia presto e subito bagno al mare ancora assonnato, mentre Polly dorme; colazione a base di Pinapple pancake e Lombok coffè; sole e mare; pranzo o su chioschetto fronte mare o in un warung interno all’isola. Principalmente Nasi campur (riso fritto misto), Nasi o Mie goreng ayam  (riso o noodle fritti con pollo) o talvolta un sandwich. Pomeriggio riposino, perché siamo stanchi, magari sull’amaca o su un altro chioschetto fronte mare; due foto, un po’ di internet, e una birretta. Tutto d’introduzione al tramonto, spettacolo incredibile qui, visto che il sole s’addormenta dietro il vulcano, non so se l’avevo già scritto, ma è qualcosa che ti rimane dentro. Cena generalmente a base di pesce alla brace di legna, in uno dei ristornatini con chioschetto fronte mare e dopo Freedom bar per un po’ di musica dal vivo o direttamente casa, in compagnia dell’amaca e di ricordi Jamaicani, che non possiedi, ma  è come fossero tuoi.
Assolutamente da ricordare una delle più belle sere che si possano passare in viaggio è stata fornita dalla musica. L’ultima delle poche sere piacevoli in compagnia dei nuovi sposi è stata fatta al Freedom bar, dopo un interessantissimo viaggio micotico in cui io sono venuto a conoscenza di essere un cavaliere e giravo lungo la spiaggia dell’isola, in pieno buio, con la mia fedele spada (un pezzo di bamboo) e attraversavo villaggi e stagioni, non so perché. Al Freedom quella sera si son superati, un gruppetto di ragazzi del posto, tra cui l’amico Dedy, si mettono a suonare chitarra e bonghi. Il boss canta e suona con una discreta maestria, ma con una voce graffiante che ti segna anche se è priva di molte parole, Dedy che usava la chitarra come se fosse un basso e un altro ragazzo che ti strimpellava la chitarra in maniera che non crederesti: Quest’ultimo è un vero fenomeno, ho avuto il piacere di riascoltarlo qualche serata a seguire. Abbiam suggerito loro di tentare fortuna in Europa, perché sono davvero forti, la risposta è stata: Nulla vale la pena se devo lasciare la mia isola.
Sta di fatto che in quest’ennesimo chiosco colorato pieno di lucine ci siamo ritrovati noi quattro, più quattro o cinque musicisti, Ellie, una ragazza australiana, simpatica dall’atteggiamento ancora un po’ forzato di una ragazzina che già vuol essere un esperta matura hippie, ma dal sorriso ancora genuino, e pochissimi altri. Ci hanno regalato un concerto con una scaletta delle migliori serate rock: Dagli U2 ai Red Hot, da Cat Stevens a Bob  dylan ai beatles, i Rolling sotnes, Eagles, Joe Cocker, B.B. King e altri.


Non ci siamo fatti mancare nulla, ho pensato ai miei amici spagnoli in quel momento vedendo quanto ci divertivamo e quanto era in estasi il mio amico presente, anche per via di una puntata doppia sul banco del bar: frullato di funghi. Alla serata partecipava una pazzoide che dapprincipio credevamo fosse in viaggio, sempre tutto micotico in stile isola, ma nulla… Era semplicemente una donna con un piede sui quaranta che disperatamente cercava di fare la scema un po’ con tutti, un po’ finta hippie, un po’ finta giovane, un po’ finta donna. Bellissimo che ci sia stata, peccato solo che dopo un po’ era schernita da tutti e lei non se ne accorgeva, qui costruirsi qualcosa, qualche maschera addosso oltre che inutile è nocivo, il posto è talmente scevro di tutto che se ti metti una maschera è come se brillassi e puzzassi allo stesso tempo. Da aggiungere l’immancabile personaggio, irlandese, velocemente soprannominato in tutte le lingue presenti “il coglione”:  La faccia un po’ scemotta, l’abbigliamento un po’ scemotto ha preso una chitarra e ha iniziato a suonare per conto suo, in maniera tremenda,  mentre circa a un metro aveva i ragazzi che stavano offrendo tutta la magia della serata con la loro musica, fino a che una ragazza, dolcemente  stile pit bull gli ha ORDINATO di fare silenzio. Mi aggiungo anche io al “concerto” trovando un bellissimo bongo orfano di artista e piano piano mi accodo al ritmo e mi allego, un po’ in sordina, ma piacevolmente accettato dal complessino. Il coglione prende spunto trova due bonghetti più piccoli e inizia a martellarci sopra poco piacevolmente, questo in faccia ad un ragazzo che vistosamente avvelenato di un qualcosa,  probabilmente era eroina, si era rilassato in mezzo a noi ascoltando la musica ad occhi chiusi, trovando (spero almeno in quel momento) la pace e il piacere che cercava. Il ragazzo apre gli occhi, ma nulla, il coglione è partito e prosegue finché il concertino smette, il ragazzo se ne va sconsolato e guardando tutti (tutti eravamo concordi a prendere un po’ in giro il coglione). La serata finisce con il coglione che ancora batte non si sa per chi, tra le risate e qualche saluto perché il giorno dopo la nostra coppia d’amici parte e noi un po’ dispiaciuti per l’ennesima perdita ci riconsoleremo con il mare e le giornate d’ozio sopra descritte. So che non devo affezionarmi troppo alle persone che incontro in questi viaggi, ma non ci posso fare niente. Abbiamo trovato amici in spagna e in Italia, non ci perderemo grazie alla moderna tecnologia dei social network, ma sarà tanto il tempo che scorrerà prima di ritrovarci.
Polly ora dorme su una delle panchine del traghetto e io, come detto, scrivo. Spero che le mie parole arrivino da qualche parte, spero di far venir la voglia a chi mi ascolta di conoscere il mondo, sapendo che per quanto possa raccontare, con le parole riesco a descrivere solo poco degli infiniti momenti che vivo e che mi riempiono ogni giorno di emozioni, di aneddoti da raccontare, insomma d’esperienza di vita in presa diretta.
Ciao ai miei nuovi amici in Italia e ciao a questo posto meraviglioso. Ora ho fame e so che dopo ricorderò di non aver scritto troppe cose essenziali, ma come ogni volta quando una pagina è scritta rimane lì, il resto si vede che non era destinato a chi non l’ha vissuto augurandomi che possa viverne altrettanto.
Sono curioso di questi cinque giorni, di questo cuore balinese che molti hanno visto e di cui sento versioni differenti, la testa però è già a Ho Chi Min e sul Mekong, nomi che hanno un potere evocativo per me grandissimo e so che non mi deluderanno. L’ultima volta che andai in un luogo da cui ero attratto “vocalmente” rimasi molto deluso, era quella fogna di Casablanca.
Ricoro un ultima cosa, una momento bellissimo ero con il mio amico di Milano, con rispettive compagne, per andare a cena, si ferma sulla passeggiata tra i ristoranti costruiti sulla sabbia, dove intorno ci sono tutte lucine che danno un effetto soft e un poco fluorescente, dove se hai appena pregato rasta fari con sotto Jammin’ ti sembrerà di essere in un altro mondo, lì lui si ferma ed esclama: “Altro ceh via condotti, via monte napoleone o non so cosa:Questa è la via più bella del mondo”.  A me s’è schiuso il cuore, detto poi da un italiano abituato a Napoli, Roma, Firenze, Milano, vale doppio. Qualcun altro ha visto la bellezza del mondo nei luoghi più semplici: una vietta sulla sabbia con tre lucine messe in croce e due ristorantini costruiti alla meglio con il legno. E’ bello sapere che non sei l’unico matto.

mercoledì 12 ottobre 2011

tensione pre derby in paradiso...

"Che fai Dedy?"
"Scrivo a Scrivo a Marny che la amo".
"Come scrivi!! Stai raccogliendo i sassi?"
"Non sono sassi Dani, è corallo e qualche conchiglia"
"Scrivi con il corallo!?"
"Scrivo con il mare"
"A noi ci hanno insegnato a scrivere con la penna e la matita sulla
carta, come si scrive con il mare, Dedy?"
"Vieni in spiaggia e ti avvicini a mare. Di mattina, quando c'è bassa
marea. Prendi un po' di corallo, guardati in torno, la spiaggia è
piena. Scrivi un messaggio, unendo i pezzi e formando lettere. Devi
usare il mare per scrivere con il mare. Poi lo lasci lì, al sole e il
sole imprimerà il messaggio nella sabbia. La sera salirà la marea e si
porterà con sé le tue parole per donarle a chi era nei tuoi pensieri."
La mattina dopo Dani lascia un messaggio per la sera: "Ciao Mamma".
Vita normale di un angolo di paradiso. La particolarità è
quell'italiano, che il mattino seguente, tra coralli e conchiglie
lascia il messaggio seguente: "Te prego capità, o te o chi pe te,
fateje du' fischi domenica ar derby!"

sabato 1 ottobre 2011

A presto amici miei, ora si va avanti.


Ieri abbiam fatto più tardi, mi sveglio con fatica per accogliere il mio rituale che causa il forte raffreddore che Juanma mi ha attaccato ho dovuto evitare per qualche giorno. Appena esco vedo la marea bassa che s’è bevuta tutto il mare lasciando spazio ad un paesaggio vagamente lunare, a molluschi, a stelle marine in bella vista, ad una sorta i spugna nera che si muove lentamente e dicono essere velenosa, a degli osceni lombrichi di mare che sembrano uscire da un film tipo alien, alle sea orchids ( la versione locale dei ricci), allo sguardo che può saltellare da un punto all’altro cercando chissà cosa, ai pensieri e ricordi che tornano sempre in mattine come questa a far lavorare le mie cellule con la loro moltitudine di sinapsi.
E’ una mattina ancor più quieta del solito e mentre Polly dorme io son qui, a scrivere dopo la mia colazione.
Generalmente mi sveglio con il mare a dieci undici metri da me, oggi è ad oltre cinquanta metri.
Nettuno stanotte ha fatto baldoria e s’è bevuto un po’ di questo splendido mare. Credo che oggi andrò un po’ a pesca, trovando una fiocina, con pinne e maschera.
Gli amici spagnoli ci hanno lasciato qualche giorno fa.
Dopo aver passato altre notti sull’isola, aver effettuato un altro leggerissimo viaggio micotico che invece che tra le stelle ci ha portati a scoprire le meraviglie del plancton fluorescente di notte dando vita a quella che abbiamo battezzato la “festa  del plancton”, siamo andati a Singiggi per poi andare a Mataram per rinnovare il visto, loro poi hanno proseguito per bali, per pochi giorni prima di tornare a casa, noi siamo tornati sulla seconda isoletta, dove con “los amigos” ci eravamo trasferiti gli ultimi tre giorni.
Con un passo indietro ricordo la sera della “festa del plancton”: Avevo sempre sentito parlare del plancton fluorescente che illumnia mare e bagnasciuga di notte, mai l’avevo visto.
E’ davvero bellissimo, sembra che le stelle siano cadute in acqua e le puoi raccogliere, mettertele sulla pelle ed essere un po’ stella anche tu. LA festa si è svolta senza gruppo musicale, ma in sorniona compagnia di un altro gruppo di ragazze spagnole, alla loro primissima esperienza.
Un’altra esperienza davvero notevole, scoprire il mondo è sempre qualcosa di magico che ti fa sentire ragazzino scoprendoti meravigliato per cose semplici, ma di una bellezza disarmante.
Queste notti ho rispolverato e ampliato la mia conoscenza astronomica, residuo bellico, ma sempre utile dell’ultimo anno di Liceo e del favoloso Prof.Mistretta, che sempre ricorderò.
Trovo un luminosissimo Giove che va a braccetto con la costellazione di Ariete e sempre in groppa al Toro, come fosse un rodeo da guerre stellari. Trovo Scorpione, ritrovo la vecchia e amata Cassiopea, il Drago, Il Cigno, il Delfino, la via Lattea, le meravigliose Pleiadi. Era qualche anno che non vedevo un cielo così, stavo quasi per dimenticare la sua tossicità. Eh sì, il cielo è tossico, quando è così vivo, forte, luminoso e immenso ti droga letteralmente e te ne stai lì, seduto sulla sabbia a fissarlo per ore, come se non avessi mai in vita tua visto niente del genere. Niente di così grandioso e magnifico.
Ho voglia di mangiare pesce, anche stanotte, alla brace di legna (il tocco che lo rende delizioso e impagabile), ma con questa marea che sembra disegnare una nuova isola non so se sarà un pescato dei piccoli ristoranti o della mia fiocina.

Mirko, Pepe e Juanma hanno lasciato un piccolo vuoto questi giorni, perché quelli spesi in loro compagnia hanno avuto un sapore bellissimo, di vacanza come quando eri piccolo, andavi con la famiglia e ti facevi sempre nuovi amici con i quali giuravi di tenerti in contatto con le vecchie lettere e poi non lo facevi mai. Non c’era internet, il telefono lo usavamo poco a quell’età e a parte con Gennaro, ragazzo di Afragola, che non so perché ricordo, ma con cui ho tenuto un amicizia di penna per un paio d’anni, non ho mai ricontattato un amico estivo. So che i tre dal corazon catalano invece rimarranno li, anche grazie alla tecnologia, saremo in contatto e torneremo a passare ottimi momenti quando li andrà a trovare nella loro Catalunia. O loro troveranno me da qualche parte la prossima estate:
Avevamo formato la nuova tribù dei piedi neri.  Stando spesso scalzi sull’isola, e con questa sabbia che sembra tingere i piedi, eravamo davvero “i piedi neri”, letteralmente. Anche lavandoli non tornavano nuovi, ci vuole più di un lavaggio e non tornare subito sulla sabbia, che su questa seconda isola e più bianca, quasi –issima direi.
Per ora abbiamo deciso di fermarci qui da soli almeno una settimana e io ho finito il mio libro del grande Giorgio Bettinelli, un viaggio strepitoso e durissimo, non credo farò mai un viaggio così duro e volendo pericoloso. Lo ammiro molto, mai io sono da viaggi sì così lunghi, ma cadenzati da soste più lunghe, o meno fame di limiti e nazioni e forse più fame di volti e storie. E’ stato un instancabile pioniere del viaggio in vespa, io non sono pioniere di nulla, non faccio nulla di nuovo, però se non entro nei posti per più tempo, se non mi immergo totalmente nel modo di pensare dei locali mi sento morire. Ci sono posti che per forza di cose faccio più velocemente, altre in cui ho bisogno di giorni per annoiarmi, per scrivere, per imparare il loro modo di vivere per conoscere amici che so che dureranno e altri che so che perderò per sempre.
HO finito, dicevo, il libro che nelle sue pagine è stato scandito dal bellissimo segnalibro fatto a mano a JogJakarta e regalatomi da Yudi, l’amico che ci ha ospitato a Jakarta, è un ricordo che porterò sempre con me come portafortuna. Il filo conduttore che unirà le mie letture in viaggio.
Oggi o domani torno sull’iniziato Achille Piè veloce di Benni, che mi stava piacendo tanto.
Nel primo transito nella nuova isoletta, sulla barca incontro Jim, un americano che è già più di un mese che vive qui e rimarrà almeno fino ai primi di novembre. “Faccia da americano”
“faccia da “californiano”, di uno che californiano non è, ma la terra dei sogni l’ha scelta come casa per lungo tempo. Oltre i cinquanta, rughe da lupo di mare, biondissimo e abbronzato, il suo inglese e sbiascicato da buon americano rilassato. Racconta velocemente della sua esperienza in Viet Nam, e mi sento quasi in difficoltà quando mi viene da dire: “Cool, Viet Nam”, perché per quanto drammatica tutta la vicenda, io d’istinto ci ho visto qualcosa di romantico, un periodo che ha sognato la storia del pianeta, anche se in negativo, e lui c’era, ma non per scelta. “I couldn’t join that war, i was draft” per un anno, almeno non in prima linea.
E’ Jim che mi ha consigliato di venire a cercare alloggio ai bungalow dove ci troviamo ora, più economici, leggermente più spartani, ma splendidi, a bordo mare e soprattutto nell’angolo dell’isola dove si vede il miglior tramonto, parola che ormai trovo con difficoltà, mi esce sempre “Sunset”. Non poche volte l’inglese e lo spagnolo si mischiano all’italiano anche con la mia Polly o con la nuova coppia italiana che abbiam incontrato, ad esempio, ieri. Loro sono in luna di miele, sposati con un matrimonio dal taglio rock dopo tredici anni di fidanzamento e sono più giovani di me.
Inizio a sentirmi vecchio e giuro che non lo sarà mai. Quale vecchio vedendo spiagge morbide trova irresistibile il richiamo di capovolte, capriole, salti all’indietro dove c’è una duna rialzata? Mi sento un po’ coglione a  volte a causa di questo richiamo che c’è ogni volta, ma quando vedo che Juanma inizia prima di me, questo a Singiggi, nemmeno una settimana fa, sono rincuorato: Non sono l’unico non vecchio e stranamente questa condivisione mi fa sentire la spagna ancor più vicina, credo proprio ci andrò a vivere un po’ al mio ritorno in Europa, non so se prima o dopo l’ingresso in Prigione Italia, che mi mancherà per via di splendide nipoti, un fratello, genitori amici e qualche parente stretto, e che mi mancherà quanto mi manca ora almeno per il pane e per il vino. Mi manca anche per la mia Roma, sono sincero.
Nota divertente, ieri dopo aperitivo e cena a bordo spiaggia con la nuova coppia di amici raccontandoci le vite, abbiamo dapprima visto una tartaruga bordo spiaggia, uno squalo non tanto piccola e una razza “bellissima” nel suo volare nell acqua. Rispettivamente la tartaruga era un pezzo del ramo di una palma, lo squalo una piccola trave di legno e la bellissima fluttuante razza quasi sicuramente una busta. Scherzi del paradiso…