sabato 16 giugno 2012

Ecco fatto. Pure il Myanmar è andato....


Per via della connessione estremamente scadente posso solamente ora riassumere questo viaggio e lavoro in questa splendida terra.
Il viaggio parte da una spettacolare stazione degli autobus, una cosa mai vista. La stazione è una cittadina/stazione. Nel senso che è l’unica stazione di tutta la città con autobus diretti in tutta la nazione, tutto il paese ed è cresciuta a dismisura. Al suo interno negozietti locali, case, e centinai di bus. Letteralmente è un girone dell’inferno, un caos che dura più o meno ventiquattro ore al giorno. Chiamarla stazione infatti è ridicolo perché è più grande di alcuni villaggi qui in Birmania. E’ stata un’esperienza fortissima entrare, mancava solo Caronte e lo Stige,  visto che comunque Satana non si fa vedere nemmeno giù all’inferno.
Per arrivare a Bagan le ore son state circa dieci, viaggio abbastanza confortevole devo dire e il posto, Bagan appunto, è incredibile, un piccolo villaggio circondato da circa 2500 templi (erano oltre 4500 ma col tempo e con un recente terremoto tantissimi sono stati demoliti). C’è un magia qui intorno, il tempo è stato bellissimo, sempre sole, caldo e nuove amicizie (tre belle ragazze belghe, Pauline, Vicotria e Gaelle, in viaggio da un anno intorno al mondo con un interessante progetto sulle imprese giovanili, se siete interessati raggiungete il sito Goyoung.com).
Questa settimana sarà una pausa dal lavoro della capitale, il team Jacques, Jimi, Annie ha funzionato alla grande, Annie ci lascerà qui per tornare giù a Yangon il 9 poi volerà a Brisbane, ci rincontreremo a settembre probabilmente, con la promessa da parte di mia di una spettacolare carbonara!!!!
Inle Lake, seconda tappa di questo piccolo giro intralavorativo è per me una vera e propria goduria, l’ho addirittura preferito alla magia di Bagan. Un grande Lago con mercati tutt’attorno dove si possono incontrare diversi gruppi etnici. I famosi pescatori di Inle lake a cui anche Luis Vuitton ha dedicato anni a dietro una splendida serie di fotografie per la sua pubblicità. Fotografare questi pescatori era uno dei miei obiettivi principali, raggiunto con successo e una di queste foto è pubblicata sul mio blog fotografico. Un’intera giornata in barca, al sole, ci siano quasi ustionati, per mercati, templi, villaggi. Superlativo, davvero. Questo in compagnia di Totsi (Salvo, un palermitano che si fa chamare così) e Akita, giapponese, la sua ragazza molto carina, sono i viaggiatori più low cost che abbia mai conosciuto, roba da 250 dollari al mese. Passeggiare nei marcati e incontrare il vero Myanmar è incantevole. Questo è un posto che cambierà radicalmente con il cambiamento del paese, ma d’altronde il cambiamento serve, la gente merita più libertà e la nazione necessità un contatto ocn l’esterno, il prezzo da apgare sarà ovviamente la perdita di una parte di tutto questo, sperando, nel profondo del cuore che venga preservato il più possibile.
Mi rattrista il fatto che posso vedere solo questo del Myanmar, il lavoro chiama e siamo qui per questo, ma va bene, non ci lamentiamo, si può sempre tornare e essere qui comunque è un privilegio. I birmani anche qui dimostrano di essere un fantastico popolo socievole e ospitale, adorabili, simpatici e sempre pronti a scambiare due chiacchiere nonostante l’importante barriera linguistica e nonostante bisogna abituarsi a bocche e denti abbastanza dure da affrontare. A parte i denti che sembrano negli uomini, gettati a caso in bocca, hanno l’abitudine di masticare continuamente un qualcosa che è composto da foglia, della polvere di calcio e un frutto secco, sembra essere molto gustoso, il problema è che tinge la saliva di rosso sangue e con il tempo macchia denti e labbra in maniera molto forte, il che garantisce fotografie ad effetto, ma distrugge totalmente i denti. Purtoppo poi l’abitudine vuole che ogni tot minuti sputino in terra questo finto sangue e si vedono un po’ ovunque queste macchie, strade, muri marciapiedi, sportelli delle macchine. E’ un po’ disgustoso lo ammetta, ma col tempo sono convinto che cambierà. Capiranno anche loro.
Torniamo a Yangon sia fisicamente che nel racconto (fisicamente il viaggio durerà 12 ore e mezza e sarà molto poco confortevole, visti sedili così stretti che non ci entravamo con le spalle e visto che sia Jacques che io non siamo esili di spalle…).
Lo Yangon Heritage Trust è l’associazione creato da Sonny Thein e Thant Myint-U (quest’ultimo insegnante ad Harvard) per la salvaguardia degli edifici coloniali del paese. Lo Yht, quindi, ha organizzato una grande conferenza per il 1 Giugno alla Strand Hotel, dove sono intervenuti la maggioranza degli ambasciatori qui in città, più dal resto del mondo delegati Unesco, rappresentanti di associazioni simili in altre città, una delegazione delle UN, grandi investitori asiatici.  Grazie ai contatti recuperati e al lavoro fotografico svolto, ci è stato chiesto di fare una piccola esposizione durante la conferenza e una proiezione delle nostre foto. La conferenza ha avuto esito positivo, raggiungendo discreti obiettivi come lo stop della demolizione di venti edifici e la nostra mostra ha avuto un successo davvero non immaginato. Da qui nasce ora un nuovo progetto dedicato a questo, importanti contatti ci hanno chiamato per portare la mostra in giro. Insomma una soddisfazione senza precedenti, un lavoro splendido per uno splendido paese che ci ha trattato bene e addirittura ringraziato per il lavoro svolto. Oltretutto essere qui in un momento storico così importante, dove un profondo cambiamento sta accadendo è un privilegio, siamo abbiamo visitato il palazzo e la stanza dove il generale, eroe nazionale e padre di Aung San Suu Kyi (credo si scriva così) è stato assassinato. A dire il vero, l’onore è esser stato il primo reporter dopo 60 anni a scattare foto in quella stanza.
Insomma tutto alla grandissima a conferma che con tenacia, pazienza e tanto forza di volontà si può davvero ottenere tutto.
Questi ultimi due giorni saranno carichi di incontri per l’organizzazione delle prossime mostre e poi via verso Bangkok, ma anche la Birmania, o Myanmar mi rivedrà prima o dopo le elezioni del 2015, quando “The Lady” sarà finalmente presidente.
Ritirato il il visto in ambasciata Thai sono pronti verso due mesi di immersioni a Koh Tao sempre sul chi va la, pronti a partire alla prima mostra o lavoro da affrontare.
Scrivo effettivamente da Bangkok, è il 16 Giugno 2012, una data storica per la democrazia nel mondo: oggi “La signora Di Yangon” ha, dopo 21 anni, ritirato il premio nobel per la Pace a Oslo. E’ un bellissimo mondo di merda che ogni tanto ci regala belle speranze.

sabato 2 giugno 2012

Myanmar


Myanmar, o Birmania come si chiamava una volta e come ancora la chiamano i suoi cittadini.
Yangon, la sua capitale. Una città bellissima, dal mio punto di vista, e con delle potenzialità strepitose. Ricchissima di palazzi coloniali che ti lasciano di stucco, la pagoda più grande dell’asia, d’oro, nella quale si trovano alcune reliquie (capelli) del Buddha. Gente ospitale, cordiale, nella maggioranza. Una città con un’anima fortissima, un’identità spiccata.
Sono rimasto davvero impresso e credo proprio questa sia la città che mi è piaciuta di più qui nel sudest asiatico.
Avevo in mente di venire qui già da tempo, d’altronde sto facendo piano piano tutto il sudest asiatico e non potevo certo saltare questa esotica e accattivante nazione, ricca di storia, di magnifici rubini e giade, di persone dai volti sempre dipinti. Ciò che alla fine mi ha portato qui è invece il lavoro, al fotografia. Jacques ed io, insieme ad una giornalista dell’ABC, Annie. (la più grande radio australiana) siamo impegnati nel fotografare gli edifici coloniali in rovina di tutta la città, per conto dell’ YHT (Yangon Heritage Trust). Dapprima era solo una collaborazione, una mano che volevamo dare ad un bel progetto. Dopo il primo giorno abbiamo mostrato le prime foto ed è stato talmente un successo che ci è stato chiesto di esporre alla grande conferenza che si terrà Venerdì primo Luglio, organizzata dall’ YHT e a cui parteciperanno oltre cento invitati compresi il sindaco di Yangon, alcuni storici, architetti di diverse parti del mondo, una delegazione delle Nazioni unite e niente popò di meno che il vicepresidente dell’UNESCO. Si rivela quindi, per ora, il lavoro della vita, la mia (nostra) prima esposizione a livello internazionale a cui seguirà una’altra a Brisbane al museo della fotografia del Queensland, tra qualche mese, se tutto continuerà ad andare secondo i piani (a dire il vero sta andando tutto ben oltre ciò che speravamo).
Il lavoro è stato duro poiché ci siamo ritrovati a lavorare in mezzo ad una disorganizzazione che ricorda i gironi infernali, affrontando anche un paio di tentativi di boicottaggio da chi non ci vede di buon occhio (non si sa perché visto che siamo davvero qui per dare una mano, ottenendo in cambio non denaro, per ora, ma grandissima visibilità). Abbiamo combattuto con una pioggia battente per due giorni intorno la città, tra traffico fortissimo, caos, caldo tropicale, umidità costante che appanna le lenti. Insomma, situazioni al limite, ma ce l’abbiamo fatta, abbiamo prodotto fotografie altamente che stanno riscuotendo un successo che ci inorgoglisce innanzitutto e ci da la carica per continuare a credere nei nostri progetti e sogni.
Arrabbiatissimo e abbattuto per ciò che sta succedendo in Siria, cerco di tirarmi su girando la città per lavoro e per respirarla e rubare ritratti, incontrare persone, scambiare opinioni. La prima cosa che noto è l’abbigliamento degli uomini: praticamente tutti indossano un pareo, che localmente viene chiamato Longi (subito acquistato uno per seguire la mia collezione dopo il bellissimo Sarong Balinese), abbinato sempre con una camicia, rarissimo vedere un uomo in maglietta. Pittoresco è anche il “Tanaka” una sorta di crema vegetale con cui si impiastrano la faccia (alcuni solo le guance) e che in teoria serve per ripararsi dal sole (ma la usano anche di notte) e per rendere la pelle più sofficie, inutile dire che è bellissima a vedersi, ma è totalmente inutile. Chilometri e chilometri a piedi, il primo giorno almeno dodici, tra palazzi, smog abbastanza elevato e questa umidità che rende difficile anche il semplice respirare. Incontriamo Sonny Thien uno uno dei responsabili dello YHT, una persona squisita. Incontriamo la moglie, tedesca trasferitasi qui tredici anni or sono, orgogliosa della missione del marito. Incontriamo tanta gente.
La città ci tratta bene, tranne qualche stronzo, ma si sa, quelli si trovano in ogni tempo ed ad ogni latitudine. Bisonga solo stare attenti a camminare, perché la città è piena di pericolossissime e profonde buche ovunque, spezzarsi una gamba è un attimo se non si fa sempre attenzione a dove si mettono i piedi. Loro sembrano essere davvero abituati, loro che non hanno cognome, come gli indonesiani, dicono non serve, le famiglie qui sono molto unite.
Questione di cultura.
Si dorme poco perché si lavora tanto, ma va bene così, tutto è molto eccitante, l’unico neo è che per via della stagione delle piogge praticamente la maggior parte dei luoghi non sono accessibili, staimo organizzando un piccolo viaggio verso nord, ma a quanto pare, le condizioni delle strade sono così povere, che anche con ottimi autobus, un percorso di cinque o sei ore si tramuterà a quanto pare in un lunghissimo viaggio di quattordici ore, che segnerà i lmio record assoltuo per un viaggio in pullman, sperando ne varrà la pena.
Altro piccolo problema è i ldenaro. Qui devi venire con i soldi in tasca, non c’è possibilità di ritirare denaro, non c’è possibilità di avere un bonifico bancario, non esistono WESTERN UNION o altri ufficili di trasfermianto denaro. In oltre i soldi devono essere Dollari Americani, in perfette condizioni e datate post 2006, in più è difficile cambiare se i biglietti non sono da 100 USD. Un po’ di grane quindi, ma va bene, il posto merita.
Sono andato anche alla ricerca di alcuni rubini, i famosi rubini Birmani sangue di piccione, favolosi, il problema è solo la limitata disponibilità di denaro. Quindi eventuali acquisti si faranno gli ultimi giorni, prima del nuovo ingresso a Bangkok.
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