mercoledì 15 ottobre 2014

Manali - Leh in moto


Come dicevo un viaggio incredibile. Ti mette a dura prova.
La prima tappa è stata Darcha, generalmente la gente si ferma a Keylong generalmente, ma a noi non attira e pochi chilometri dopo, diciamo quasi un oretta di moto ci fermiamo in questo paesino Darcha. Home stay.
La strada è stata piuttosto dura, traffico sul prima del passo di Rotang, che dicono essere il più duro, strada molto stretta e sterrata dopo con qualche fiumiciattolo nel mezzo. I piedi si bagnano ed e una tortura perché l’acqua è elida. Ecco perché vendevano tutti quegli stivali di gomma nelle bancarelle lungo la strada prima del passo…. Dicevo, ti mette a dura prova, anche non essendo difficilissima, è comunque una strada impegnativa, per chi è abituato ad andare in moto, ma comunque non è una strada che si dovrebbe fare in Royal Enfield, qui ci vorrebbe minimo un enduro. La Royal comunque è il nostro mezzo, carica, con chitarra al seguito, ma è anche quella che troverai di più lungo la strada come nel resto dell’India. In India si guida in Enfield, no Matter what. Qualsiasi siano le condizioni.
Arriviamo a Darcha stanchi, ma contenti, appagati. LA stanza che ci danno è un amore, con muro vetrata sull’Himalaya, generalmente adibita a tempio della casa. Rimaniamo un giorno in più anche perché qui il primo sospetto che il mio parassita, sia tornato. Quindi meglio partire riposati.
Si riparte di mattina, riposati. La prima parte del viaggio è semplice, poi si incontra una vera e propria cascata che ha fatto franare la strada. Tanta gente ferma, tante moto. Si passano ad uno, piano piano. Sofia attraversa scroccando un passaggio da un Sikh che guida un tir per la benzina. Da solo dovrebbe esser più facile, sono più leggero. Al mio turno parto, sparato in pria, ma la moto si blocca subito. Il punto debole della Royal, soprattutto la 350 è la frizione, quasi si brucia. Non posso rischiare di bruciarla totalmente o non cammineremo più. Quindi con l’aiuto di Sofi che nonostante il gelo dell’acqua torna indietro e un ragazzo, stivalato, indiano che aiuta un po’ tutti spingiamo guadando la cascata formatasi. Sento il freddo entrarmi nelle ossa, davvero mi spavento pensando di aver preso geloni alle dita. Dolore nel cervello, ma sono salvo, solo fortissimo freddo… ma devo fare il terzo cambio di calzini del viaggio.
Passato il peggio si viaggia, facilmente, sempre con estrema attenzione fino a Sarchu. Una sorta di campo base dietro una base militare.

Qui il primo e unico momento di confusione dovuta all’altitudine. Sofia parla e anche un altro ragazzo, io davvero non capisco nulla, sento solo confusione. Per calmarmi respiro solo con il diaframma, lo controllo. E tutto lentamente torna normale. Prendiamo una tenda e ci rilassiamo. Il  mio correre nella tenda adibita a bagno è l’unica cosa che tiene viva la serata. Entrambi nessun problema di altitudine, siamo a 4300 metri su per giù ne problemi durante la notte. Esercizi di respirazione e un po’ di meditazione non lasciano scampo a nessun problema data da aria e altitudine. Il giorno dopo siamo pronti per la partenza, preoccupati per la frizione, davvero al limite. Decido di fare una prova con la moto prima di caricarla. Funziona, meravigliosa, mi lancio in una di quelle scene da film, in piedi sulla moto, non sulla sella, solo mi alzo in piedi, e urlo. Urlo al mondo, all’immenso Himalaya, alla libertà. Vento tra i capelli e musichetta (ci starebbe, ma c’è solo il vento). Mi fermo, felicissimo…. E Stac. Stac? Stac, un filo si spezza. Quello dell’acceleratore. Cazzo.
[... continua...]