giovedì 20 novembre 2014

Leh. Verso Rishikesh.

Leh. Come ho detto una città particolare. Decisamente non bella, essenziale, con una magia tutta sua. Spendo i primi quindici giorni a cercare di capire come sopravvivere e come battere questo coso. Cerchiamo di contattare il primo medico che mi ha aiutato a Kasol, lui sapeva cosa fosse, non ricordo il nome ne l’antibiotico che mi ha dato. Sto male, poi scopriamo che in ogni caso, basta mantenere l’idratazione e i minerali, resti in vita, non c’è quel pericolo, perché le amebe bastarde, vogliono rimanere in vita anch’esse. Quindi quanto ti portano troppo giù se fermano qualche giorno e ti fanno rifiatare. Ci sono stati giorni in cui non avevo forze per camminare.
Poi unendo tutti i sintomi, tra cui una nuovissima intolleranza ai latticini, molto forte e ovvia, località di contagio e informazioni varie su internet esce fuori che è una ameba appunto, ma la Giardia. Non ci possono essere dubbi, nessun altra combacia con tutti i segnali. Troviamo l’antibiotico associato.
La vita sembra ricominciare. Piano piano, un po' di forze tornano, non so quanto sono arrivato a pesare, so che quando mi sono un po' ripreso, un mese dopo ho trovato una bilancia che segnava 57. Io sano sono 1,80 per 68, kili, comunque un tipo magro. 11 Kili di meno e forse sono stato anche meno, sono una lastra.
Dopo il non far più o meno nulla per 15 giorni tranne un paio di passeggiate, decidiamo di buttarci in Nubra Valley, Ladak del nord, poche ore di macchina, passando per il Kardoung La, L’attuale passo più alto del mondo. Ai confini con il Pakistan. Una valle fuori dai canonici concetti di bellezza. Strepitosa, dune di sabbi a oltre 3000 metri. Cammelli, dico cammelli, quelli a due gobbe, sull’Himalaya! Macchie di vegetazione sporadiche, ma grandi. Un fiume che solca questi cento chilometri di valle. Arriviamo a Diskit e prendiamo un bus per Hunder, una notte, con 38 di febbre per me, dato dallo stress, non da altro, lo sento, anche perché sono sotto antibiotico e il mio fisico lo conosco. Infatti la mattina mi sento bene. Bene, contando tutta la mia situazione.
Il giorno dopo altro passaggio fino a Turtuk a sei chilometri dal Pakistan.
L’ultimo villaggio a cui uno straniero può accedere in questa valle. Un gioiellino indiano, dalla cultura musulmana sul tetto del mondo. Non sulla parte più alta, ma sempre sul tetto. Due giorni e si torna indietro. Io capisco che sono in ripresa, ma non sono assolutamente guarito. Il parassita è li. Lo sento.
La mia fortuna è incontrare un inglese, che organizza viaggi in moto qui in India e nei suoi vent’anni di viaggi in questo sub continente ha preso la Giardia 4 volte. Qui mi spiega cosa devo fare, l’esatto antibiotico e la dose che mi assicurerà la vittoria sull’ameba bastarda. La vittoria non sarà senza vittime, il mio sistema immunitario, non ti dico al completo, ma quasi.  Si torna a Leh, un paio di gironi spesi a vedere in maniera più attiva la città e via di nuovo a Manali, dov’è ad attendermi Aretha Ganesh, la moto. Oren, tornato a Manali una settimana prima di me, ha trovato il modo di fermare qualcuno a Sarchu e con i soldi, circa sessanta euro, l’ha convinto a caricare la moto sulla Jeep per  poi farla scaricare direttamente dal meccanico, a cui darò altre sessanta euro per rimetterla a posto.
Leh-manali in furgoncino con altre 8 persone. 16 ore tutte d’un fiato e non propriamente comodissimi, partenza all’una di notte, davvero un viaggio.
Da manali ovviamente scappiamo in un paio di giorni. Direzione Kasol, Mother Parvati, che ormai è un po’ casetta. La Parvati valley è uno di quei posti nel mondo che sento un po’ casa. Come Koh Tao, come Brisbane.

E’ ora di salutare la quella che sarà l’ultima amante di questo viaggio Indiano, ok, a dir la verità è stata più di una “travel lover”, ma in fin dei conti son dettagli, etichette. Addio Sophia, non credo ci vedremo più in questa vita, ma tutto è possibile. Ora anche per me è arrivato il momento di lasciare i miei amici qui in Parvati, l’Himalaya e la sua immensa potenza, Malana e gli altri villaggi. Tanto a casa, gira gira, si torna sempre, è solo un Ciao. In sella ad Aretha per la penultima volta, direzione Rishikesh, con sosta notturna nei pressi di Shimla.

mercoledì 19 novembre 2014

Manali-Leh in moto... continua

[...]
Fermi tutti ho il cavo di ricambio. Ragazzo saggio.
Non so cambiarlo.
So farlo io! Esclama un sorridente ragazzo indiano, facente parte di un gruppo di sei sedicenti (!?) ragazzi di Delhi, con la macchina rotta due chilometri più avanti.
Lo lascio fare, sapendo bene che qui in India più o meno tutti sanno mettere le mani su una Royal Enfield.
Lui non ci riesce, manca qualcosa.
Allora aspettiamo. Sofia nell’attesa trova un passaggio per andare alla caserma militare dove, sicuramente, ci sarà un meccanico.
Nel frattempo io trovo un ragazzo che dice di saper perfettamente riparare una moto, in caso abbiamo tutti i pezzi. Lo porto alla tenda, e dopo due minuti mi dice che non si può fare, manca l’ago del carburatore.
Come fa a mancare l’ago del carburatore (il carburatore ha un ago!????) era accesa venti minuti fa, ci ho girato.
Allora qualcuno ha fatto qualcosa. Allora l’amico Indiano, il primo, ha fatto un danno, ha perso l’ago, anche se effettivamente, come ha fatto a perdere quest’ago, non si sa.  Sta di fatto che senza quest’ago…
Arrivano i militari, sofi dietro in moto con qualcun altro, perché le donne non possono salire su mezzi militari Indiani. Ovviamente non ci sono donne militari in India. Non sono ammesse, credo. Questa ragazzina di 19 anni, bella come un angelo, è riuscita a far muovere, l’esercito. Un camion e tre militari di cui uno Sikh, si presentano. Lei felicissima, racconta di esser stata accolta alla grande, le hanno offerto succo di mango, ha parlato al telefono col comandante… E’ venuto il meccanico. Niente, senza ago non si muove, esercito o non esercito. Avremmo potuto smuovere la NATO. Ci vuole un cazzo ago. O si torna in qualche modo indietro a Keylong, arriviamo stasera, e torniamo domani sera, o lasciamo la moto qui e in qualche modo faremo, manderemo a prenderla, o magari troviamo un modo per rispedirla a Manali. Non avendo trovato in un paio d’ore posto su un tir per caricarla. Nessuno si arrabbia, nessuno perde la pazienza. Non ci si lamenta, si guarda la perfezione dell’universo, ci si incuriosisce e ci si butta in questa nuova avventura. Metà viaggio in moto, meta autostop sui tir. Il modo più lento e comodo di viaggiare in India. Praticamente gratis. Comodi, perché in india, a parte il sedile del conducente, tutta la cabina è coperta, sempre, da un cuscino-materasso. Comodissimo. Partono i Chillum e si "bumma" l’Himalaya e la potenza di Shiva, cristallina da queste parti. Fermata notturna a Pang, 4600 metri. Passati altri due passi. LA notte è tranquilla, sotto grandi coperte, il giorno dopo i nostri amici partono presto, noi decidiamo di prendere il primo tir che passa e va fin su. Lo becchiamo dopo un oretta. Più silenzioso e leggermente più veloce del primo. Lui non parla assolutamente inglese.  Il primo un po’. Cerco di farmi valere con il mio indiana, ancora poca cosa, ma qualcosina qui e li incastro, un po’ di vita viene raccontata, molto stilizzata. Gonfio sempre il petto quando loro si meravigliano che io sappia leggere il devanagari (l’alfabeto indiano) , e io rilassato, ma si non è difficile, tre giorni e lo impari. E il mio ego si sente poliglotta quando la realtà è che dico tre o quattro cose in indiano, anche leggendolo, non so effettivamente quello che sto leggendo. Per il resto si parlicchia Spagnolo e ormai un inglese di cui non mi lamento. Anche perché mi ritrovo spesso ormai a pensare in inglese e fa sempre un certo effetto.  Quindi si passa per il secondo passo più alto al mondo, il maggiore di questa strada, il Tanglang. 5300 metri e passa, qui davvero senti l’aria che manca, esercizio e tutto apposto. Ultima sosta prima della dogana per i tir. Incontriamo il primo Tir, l’autista giovane con il proprietario del tir. Il proprietario del primo e il guidatore del secondo (il secondo viaggia da solo) si conoscono, dice il tipo, lui è stato il mio driver per 5 anni! Mezz’ora di riposo e si riparte, i due driver si cambiano tir. Quindi rimaniamo sul secondo tir, ma primo driver.  In serata si arriva, torniamo sul primo tir, e arriviamo, finalmente, più riposati di quello che ci fossimo aspettati, a Leh. Una città particolare. Qui si vive a 3500 metri. Non è uno scherzo. Aria o no bisogna abituarsi, bisogna muoversi con calma e lasciare al fisico i un paio di giorni per adattarsi. Purtroppo arrivati a Leh la mia malattia esplode ferocemente, più forte di sempre. Il mio stomaco diventa una lavastoviglie e io divento un impianto a gas, letteralmente. Almeno non puzzano.
La cosa bella, incredibile, meravigliosa,  è tutto il viaggio che ti passa davanti agli occhi. Incredibile avventura, altro regalo di Mamma India, che tanto da e spesso, vedi la mia malattia tanto toglie. Comunque sempre ne vale la pena. Abbraccio Dudu, arrivato pochi giorni prima in bus, Oren, Oz gli altri amici Israeliani Non c’è stato nemmeno bisogno di un appuntamento, guarda caso ci siam beccati nel posto giusto al momento giusto. . E’ sempre un piacere rincontrarvi ragazzi.