venerdì 19 dicembre 2014

Varanasi. Poche parole. Troppo per raccontare.

Varanasi è uno dei posti che più ho atteso in vita mia. Un psoto che mi dicevano esser culturalmente sconvoglente.
Beh, può sicuramente esserlo. Diciamo che se sei abiutato a viaggiare molto, se hai visto tutto il sud esta asiatico, se sono più o meno otto mesi che mangi India, respiri India, parlicchi Indiano, hai visto bene Calcutta, nessuna luogo potrà davvero sconvoglerti culturalmente.  Benares, come viene chiamata principalmente in Hindi è a dir poco pittoresca. Sporca come pochi luoghi su questo pianeta, ienteressante come pochissimi.  Effettivamente se uno prende e arriva direttamente a Varanasi, senza aver fatto a lungo il callo in tante altre parti, può esser devastante. E’ motlo difficile da spiegare a parole, Varanasi ti può lacerare la coscienza. La povertà che incontri, la vita di strada ai limiti dell’umano, i morti che bruciano (ho involontariamente, letteralemtne, aspirato a pieni polmoni un corpo in fiamme, una sensazione piuttosto difficile), lo sporco, i colori accesi, il cibo di strada, il più buon lassi dell’India  (meglio di Amritsar, checchè ne dicano) la merda ovunque, le mucche, il maestoso Gange, i bellissimi Gath. E’ una città immortale, è una città che ha natali più antichi di Roma stessa (lasciando perdere che di per sé non v’è una singola pietra più antica di Roma…).
Varanasi era immancabile nel mio infinito peregrinare, passeggi nelle sue piccole intricatissime vie, ti ci perdi e ti trovi i morti che girano con te, puoi quasi sentirli, sembra essere una città che non lascia facilmente  scappare le anime dei suoi morti, è, come dire, una città magica. Venire in India e non visitare Varanasi è andare in Francia e non visitare Parigi, con la differenza che nella vita di un essere umano Varanasi è molto più importante di Parigi. E’ un epicentro energetico che ti scuote, smuove le fondamenta di ogni umano che tenga gli occhi aperti, ovviamente non del turista che passeggia con l’ipad in mano per fare il video delle vacanze, nache se non né sono sicuro….

Non è consigliabile fare Varanasi appena arrivati in India, come dicevo, ma sicuramente non è nemmeno da fare come ho fatto io, alla fine di lunghi ed estenuanti otto mesi, perché è tanta roba, tanti odori, tanto sudore. Benares stanca. Mi son fermato cinque giorni. Cinque giorni sui Gath, tra le vie, passeggiando e fotografando, affittando all’alba una barca per vedere la città dal suo fiume. Una delle particolarità è che la capitale religiosa dell’India Induista è situata solo da una parte del fiume, desolazione dall’altra. Difficile non amarla, ma possibile che ti colpisca talmente tanto che dopo la prima mezz’ora tu voglia totrnare in albergo e non uscire più. C’è chi non tornerà mai in India a causa di Varanasi, c’è chi ci tornerà sempre, perché c’è Varanasi.

giovedì 11 dicembre 2014

Rishikesh, delusione commerciale

Giorno di viaggio divertente in moto. Tanta pioggia, belle strade... Dopo tre mesi e mezzo si lascia l’Himalaya ed è come se la spina si staccasse, senti il caldo indiano arrampicarsi sulla pelle, il cielo cambia, l’energia cambia.
Ci metto un bel po’ a causa di una pioggia che a tratti è massacrante, acquazzoni tropicali travestiti da...... Acquazzoni Tropicali, niente de più.
Arrivo a Rishikesh appena fatta sera. Gli ultimi chilometri sono massacranti, tra tanti paesini che uno dopo l’altro rilasciano traffico, gente, veicoli, casino. Quel casino Indiano da cui mi ero disconnesso stando sulle montagne, rieccolo tutto insieme. Sono stanco e appunto è praticamente notte. Ultmi 15 chilometri... Ce l’abbiamo quasi fatta e... BOOM! Scoppia la gomma posteriore, la moto pattina a 70 km/h, mi preparo all’impatto con l’asfalto nuovissimo, cercando di cadere verso l’esterno della strada, perché dall’altra parte ci son macchine che arrivano e dietro a me c’è una fila di macchine che non so come stia reagendo alla mia pattinata in moto su asfalto indiano. Letteralmente per cento metri ed oltre sbando da destra a sinistra della corsia, sicuro come la morte farò uno di quei botti epici, ma ce la posso fare a non farmi male..... Niente, si vede che mi porto dietro ancora lo Shiva Power e riesco a non cadere. Pazzesco. Tremo. Un minuto e non c’è più nessuno. Né macchine dietro a me, né davanti. Mi trovo su questa lingua d’asfalto al buio, intorno a me foresta indiana. Nove di sera. Capiamoci, tra un ora questa strada verrà chiusa al traffico perché la notte ci sono tigri ed elefanti selvaggi. Entrambi gli elementi mi faranno sparire in pochi istanti. Cazzo. No, dico davvero: Cazzo! Non posso perdere tempo. Metto la moto moto fuori strada, lucchetto, tiro giù le valige e spero passerà qualcuno più velocemente delle eventuali tigri o elefanti. Non sarebbe piacevole, davvero non saprei come affrontare una tigre. Non credo potrei affrontare una tigre anche sapendo come fare. Sempre ci sia un modo per farlo. Eccoli. Qualcuno arriva. Si fermano subito, ripenso al fatto che se fossi in Italia a fare l’autostop di notte in un bosco losco, nessuno si fermerebbe mai. Qui si ferma la prima macchina che passa. Un gruppo di ragazzi della città vicina vengono a passare il week end a Rishikesh. Grazie Mamma India. Mi prendono e mi portano fino in albergo, mi aiutano a dire il vero a trovare un albergo cheap nella zona yoga-backpaker chiamata Luxman Jula. Inutile dire che arrivo distrutto, riesco a trovare un ristorantino sul Gange aperto e di corsa al letto.
Rishikesh è una gran delusione per me. Apparte un paio di amicizie qua e la, apparte il posto davvero carino non mi ci ritrovo. Il livello di insegnamento di Yoga è piuttosto basso, se consideriamo che questa dovrebbe essere la capitale mondiale dello Yoga (lo è solo commercialmente, qualitativamente Mysore è di un’altra categoria). Spendo giorni a fare diversi tipi di Yoga, trovo sotto consiglio una buona scuola finalmente. Sono davvero poche le scuole decenti se non sei interessato al corso mensile di una marea di ore.... Io, interessato alle lezioni singole, perché voglio ampliare la mia conosdcenza minima e basilare di altri tipi di Yoga, rimango piuttosto deluso e a dire il vero capisco definitivamente che lo Yoga Ashtanga è esattamente quello he fa per me. Pratico più per conto mio bordo fiume che nelle scuole. Un paio di bagni nel Gange o meglio il Ganga. Interminabili colazioni. Non prendo un chilo per rimettermi nemmeno morto. Non peso più di 58 chili, ovvero 10 tondi al di sotto del mio peso e io sono comunqe sul magro, quindi con dieci chili in meno sono la radiografia di me stesso. Bassa stagione, poche persone, nessuna Jam session, serate noiose. Meno di venti giorni lascio. Rishikesh non mi ha convinto. Provo a vedere la cara moto ma non mi danno cifre accettabili. Almeno trovo il tempo e il modo di meditare decentemente e giornalemnte, cosa che mi tiene in forma e mentalmente lucido, nonostante charras, salute non al top per via della vecchia bastarda Giardia che ha lasciato segni profondi, nonostante un disagio che cresce, dato da quasi nove mesi di India tutti d’un fiato si fanno sentire (oddio, tutt idàun fiato no, ho fatt o15 giorni in thailandia per rinnovare il visto e ho fatto una decina di immersioni). Mamma India ti da tantissimo, ma è anche in grado di toglierti tanto. Non credo che Rishikesh mi rivedrà al mio eventuale, probabile ritorno. Vorrei partire ora ma non posso, ho bisogno di vedere almeno Benares una delle città più antiche del mondo, più antica della stessa Roma, noi la chiamiamo Varanasi. La città più sacra dell’India.
Divertente fu il “ripescaggio” della moto. Mi faccio accompagnare da un mecanico del luogo, ma la moto non si trova, proviamo altre strade, tante bolte mi fossi sbgliato, ma no, la strada è proprio quella, quella che chiudono di notte per via di tigri ed elefanti. Scopriamo dopo un po’ che è stata portata via dalla polizia, sia per sicurezza sia perché la polizia spera sempre di strappare qualche rupia al turiosta di turno. Fortunatamente il meccanico è amico del comandante del giorno, quindi dopo un discreto sbattersi qua e la riesco a prendere sta benmedetta moto e portarla dal meccanico, guidando con la ruota a terra. Il tutto mi costa circa 5 euro. India…



giovedì 20 novembre 2014

Leh. Verso Rishikesh.

Leh. Come ho detto una città particolare. Decisamente non bella, essenziale, con una magia tutta sua. Spendo i primi quindici giorni a cercare di capire come sopravvivere e come battere questo coso. Cerchiamo di contattare il primo medico che mi ha aiutato a Kasol, lui sapeva cosa fosse, non ricordo il nome ne l’antibiotico che mi ha dato. Sto male, poi scopriamo che in ogni caso, basta mantenere l’idratazione e i minerali, resti in vita, non c’è quel pericolo, perché le amebe bastarde, vogliono rimanere in vita anch’esse. Quindi quanto ti portano troppo giù se fermano qualche giorno e ti fanno rifiatare. Ci sono stati giorni in cui non avevo forze per camminare.
Poi unendo tutti i sintomi, tra cui una nuovissima intolleranza ai latticini, molto forte e ovvia, località di contagio e informazioni varie su internet esce fuori che è una ameba appunto, ma la Giardia. Non ci possono essere dubbi, nessun altra combacia con tutti i segnali. Troviamo l’antibiotico associato.
La vita sembra ricominciare. Piano piano, un po' di forze tornano, non so quanto sono arrivato a pesare, so che quando mi sono un po' ripreso, un mese dopo ho trovato una bilancia che segnava 57. Io sano sono 1,80 per 68, kili, comunque un tipo magro. 11 Kili di meno e forse sono stato anche meno, sono una lastra.
Dopo il non far più o meno nulla per 15 giorni tranne un paio di passeggiate, decidiamo di buttarci in Nubra Valley, Ladak del nord, poche ore di macchina, passando per il Kardoung La, L’attuale passo più alto del mondo. Ai confini con il Pakistan. Una valle fuori dai canonici concetti di bellezza. Strepitosa, dune di sabbi a oltre 3000 metri. Cammelli, dico cammelli, quelli a due gobbe, sull’Himalaya! Macchie di vegetazione sporadiche, ma grandi. Un fiume che solca questi cento chilometri di valle. Arriviamo a Diskit e prendiamo un bus per Hunder, una notte, con 38 di febbre per me, dato dallo stress, non da altro, lo sento, anche perché sono sotto antibiotico e il mio fisico lo conosco. Infatti la mattina mi sento bene. Bene, contando tutta la mia situazione.
Il giorno dopo altro passaggio fino a Turtuk a sei chilometri dal Pakistan.
L’ultimo villaggio a cui uno straniero può accedere in questa valle. Un gioiellino indiano, dalla cultura musulmana sul tetto del mondo. Non sulla parte più alta, ma sempre sul tetto. Due giorni e si torna indietro. Io capisco che sono in ripresa, ma non sono assolutamente guarito. Il parassita è li. Lo sento.
La mia fortuna è incontrare un inglese, che organizza viaggi in moto qui in India e nei suoi vent’anni di viaggi in questo sub continente ha preso la Giardia 4 volte. Qui mi spiega cosa devo fare, l’esatto antibiotico e la dose che mi assicurerà la vittoria sull’ameba bastarda. La vittoria non sarà senza vittime, il mio sistema immunitario, non ti dico al completo, ma quasi.  Si torna a Leh, un paio di gironi spesi a vedere in maniera più attiva la città e via di nuovo a Manali, dov’è ad attendermi Aretha Ganesh, la moto. Oren, tornato a Manali una settimana prima di me, ha trovato il modo di fermare qualcuno a Sarchu e con i soldi, circa sessanta euro, l’ha convinto a caricare la moto sulla Jeep per  poi farla scaricare direttamente dal meccanico, a cui darò altre sessanta euro per rimetterla a posto.
Leh-manali in furgoncino con altre 8 persone. 16 ore tutte d’un fiato e non propriamente comodissimi, partenza all’una di notte, davvero un viaggio.
Da manali ovviamente scappiamo in un paio di giorni. Direzione Kasol, Mother Parvati, che ormai è un po’ casetta. La Parvati valley è uno di quei posti nel mondo che sento un po’ casa. Come Koh Tao, come Brisbane.

E’ ora di salutare la quella che sarà l’ultima amante di questo viaggio Indiano, ok, a dir la verità è stata più di una “travel lover”, ma in fin dei conti son dettagli, etichette. Addio Sophia, non credo ci vedremo più in questa vita, ma tutto è possibile. Ora anche per me è arrivato il momento di lasciare i miei amici qui in Parvati, l’Himalaya e la sua immensa potenza, Malana e gli altri villaggi. Tanto a casa, gira gira, si torna sempre, è solo un Ciao. In sella ad Aretha per la penultima volta, direzione Rishikesh, con sosta notturna nei pressi di Shimla.

mercoledì 19 novembre 2014

Manali-Leh in moto... continua

[...]
Fermi tutti ho il cavo di ricambio. Ragazzo saggio.
Non so cambiarlo.
So farlo io! Esclama un sorridente ragazzo indiano, facente parte di un gruppo di sei sedicenti (!?) ragazzi di Delhi, con la macchina rotta due chilometri più avanti.
Lo lascio fare, sapendo bene che qui in India più o meno tutti sanno mettere le mani su una Royal Enfield.
Lui non ci riesce, manca qualcosa.
Allora aspettiamo. Sofia nell’attesa trova un passaggio per andare alla caserma militare dove, sicuramente, ci sarà un meccanico.
Nel frattempo io trovo un ragazzo che dice di saper perfettamente riparare una moto, in caso abbiamo tutti i pezzi. Lo porto alla tenda, e dopo due minuti mi dice che non si può fare, manca l’ago del carburatore.
Come fa a mancare l’ago del carburatore (il carburatore ha un ago!????) era accesa venti minuti fa, ci ho girato.
Allora qualcuno ha fatto qualcosa. Allora l’amico Indiano, il primo, ha fatto un danno, ha perso l’ago, anche se effettivamente, come ha fatto a perdere quest’ago, non si sa.  Sta di fatto che senza quest’ago…
Arrivano i militari, sofi dietro in moto con qualcun altro, perché le donne non possono salire su mezzi militari Indiani. Ovviamente non ci sono donne militari in India. Non sono ammesse, credo. Questa ragazzina di 19 anni, bella come un angelo, è riuscita a far muovere, l’esercito. Un camion e tre militari di cui uno Sikh, si presentano. Lei felicissima, racconta di esser stata accolta alla grande, le hanno offerto succo di mango, ha parlato al telefono col comandante… E’ venuto il meccanico. Niente, senza ago non si muove, esercito o non esercito. Avremmo potuto smuovere la NATO. Ci vuole un cazzo ago. O si torna in qualche modo indietro a Keylong, arriviamo stasera, e torniamo domani sera, o lasciamo la moto qui e in qualche modo faremo, manderemo a prenderla, o magari troviamo un modo per rispedirla a Manali. Non avendo trovato in un paio d’ore posto su un tir per caricarla. Nessuno si arrabbia, nessuno perde la pazienza. Non ci si lamenta, si guarda la perfezione dell’universo, ci si incuriosisce e ci si butta in questa nuova avventura. Metà viaggio in moto, meta autostop sui tir. Il modo più lento e comodo di viaggiare in India. Praticamente gratis. Comodi, perché in india, a parte il sedile del conducente, tutta la cabina è coperta, sempre, da un cuscino-materasso. Comodissimo. Partono i Chillum e si "bumma" l’Himalaya e la potenza di Shiva, cristallina da queste parti. Fermata notturna a Pang, 4600 metri. Passati altri due passi. LA notte è tranquilla, sotto grandi coperte, il giorno dopo i nostri amici partono presto, noi decidiamo di prendere il primo tir che passa e va fin su. Lo becchiamo dopo un oretta. Più silenzioso e leggermente più veloce del primo. Lui non parla assolutamente inglese.  Il primo un po’. Cerco di farmi valere con il mio indiana, ancora poca cosa, ma qualcosina qui e li incastro, un po’ di vita viene raccontata, molto stilizzata. Gonfio sempre il petto quando loro si meravigliano che io sappia leggere il devanagari (l’alfabeto indiano) , e io rilassato, ma si non è difficile, tre giorni e lo impari. E il mio ego si sente poliglotta quando la realtà è che dico tre o quattro cose in indiano, anche leggendolo, non so effettivamente quello che sto leggendo. Per il resto si parlicchia Spagnolo e ormai un inglese di cui non mi lamento. Anche perché mi ritrovo spesso ormai a pensare in inglese e fa sempre un certo effetto.  Quindi si passa per il secondo passo più alto al mondo, il maggiore di questa strada, il Tanglang. 5300 metri e passa, qui davvero senti l’aria che manca, esercizio e tutto apposto. Ultima sosta prima della dogana per i tir. Incontriamo il primo Tir, l’autista giovane con il proprietario del tir. Il proprietario del primo e il guidatore del secondo (il secondo viaggia da solo) si conoscono, dice il tipo, lui è stato il mio driver per 5 anni! Mezz’ora di riposo e si riparte, i due driver si cambiano tir. Quindi rimaniamo sul secondo tir, ma primo driver.  In serata si arriva, torniamo sul primo tir, e arriviamo, finalmente, più riposati di quello che ci fossimo aspettati, a Leh. Una città particolare. Qui si vive a 3500 metri. Non è uno scherzo. Aria o no bisogna abituarsi, bisogna muoversi con calma e lasciare al fisico i un paio di giorni per adattarsi. Purtroppo arrivati a Leh la mia malattia esplode ferocemente, più forte di sempre. Il mio stomaco diventa una lavastoviglie e io divento un impianto a gas, letteralmente. Almeno non puzzano.
La cosa bella, incredibile, meravigliosa,  è tutto il viaggio che ti passa davanti agli occhi. Incredibile avventura, altro regalo di Mamma India, che tanto da e spesso, vedi la mia malattia tanto toglie. Comunque sempre ne vale la pena. Abbraccio Dudu, arrivato pochi giorni prima in bus, Oren, Oz gli altri amici Israeliani Non c’è stato nemmeno bisogno di un appuntamento, guarda caso ci siam beccati nel posto giusto al momento giusto. . E’ sempre un piacere rincontrarvi ragazzi.

mercoledì 15 ottobre 2014

Manali - Leh in moto


Come dicevo un viaggio incredibile. Ti mette a dura prova.
La prima tappa è stata Darcha, generalmente la gente si ferma a Keylong generalmente, ma a noi non attira e pochi chilometri dopo, diciamo quasi un oretta di moto ci fermiamo in questo paesino Darcha. Home stay.
La strada è stata piuttosto dura, traffico sul prima del passo di Rotang, che dicono essere il più duro, strada molto stretta e sterrata dopo con qualche fiumiciattolo nel mezzo. I piedi si bagnano ed e una tortura perché l’acqua è elida. Ecco perché vendevano tutti quegli stivali di gomma nelle bancarelle lungo la strada prima del passo…. Dicevo, ti mette a dura prova, anche non essendo difficilissima, è comunque una strada impegnativa, per chi è abituato ad andare in moto, ma comunque non è una strada che si dovrebbe fare in Royal Enfield, qui ci vorrebbe minimo un enduro. La Royal comunque è il nostro mezzo, carica, con chitarra al seguito, ma è anche quella che troverai di più lungo la strada come nel resto dell’India. In India si guida in Enfield, no Matter what. Qualsiasi siano le condizioni.
Arriviamo a Darcha stanchi, ma contenti, appagati. LA stanza che ci danno è un amore, con muro vetrata sull’Himalaya, generalmente adibita a tempio della casa. Rimaniamo un giorno in più anche perché qui il primo sospetto che il mio parassita, sia tornato. Quindi meglio partire riposati.
Si riparte di mattina, riposati. La prima parte del viaggio è semplice, poi si incontra una vera e propria cascata che ha fatto franare la strada. Tanta gente ferma, tante moto. Si passano ad uno, piano piano. Sofia attraversa scroccando un passaggio da un Sikh che guida un tir per la benzina. Da solo dovrebbe esser più facile, sono più leggero. Al mio turno parto, sparato in pria, ma la moto si blocca subito. Il punto debole della Royal, soprattutto la 350 è la frizione, quasi si brucia. Non posso rischiare di bruciarla totalmente o non cammineremo più. Quindi con l’aiuto di Sofi che nonostante il gelo dell’acqua torna indietro e un ragazzo, stivalato, indiano che aiuta un po’ tutti spingiamo guadando la cascata formatasi. Sento il freddo entrarmi nelle ossa, davvero mi spavento pensando di aver preso geloni alle dita. Dolore nel cervello, ma sono salvo, solo fortissimo freddo… ma devo fare il terzo cambio di calzini del viaggio.
Passato il peggio si viaggia, facilmente, sempre con estrema attenzione fino a Sarchu. Una sorta di campo base dietro una base militare.

Qui il primo e unico momento di confusione dovuta all’altitudine. Sofia parla e anche un altro ragazzo, io davvero non capisco nulla, sento solo confusione. Per calmarmi respiro solo con il diaframma, lo controllo. E tutto lentamente torna normale. Prendiamo una tenda e ci rilassiamo. Il  mio correre nella tenda adibita a bagno è l’unica cosa che tiene viva la serata. Entrambi nessun problema di altitudine, siamo a 4300 metri su per giù ne problemi durante la notte. Esercizi di respirazione e un po’ di meditazione non lasciano scampo a nessun problema data da aria e altitudine. Il giorno dopo siamo pronti per la partenza, preoccupati per la frizione, davvero al limite. Decido di fare una prova con la moto prima di caricarla. Funziona, meravigliosa, mi lancio in una di quelle scene da film, in piedi sulla moto, non sulla sella, solo mi alzo in piedi, e urlo. Urlo al mondo, all’immenso Himalaya, alla libertà. Vento tra i capelli e musichetta (ci starebbe, ma c’è solo il vento). Mi fermo, felicissimo…. E Stac. Stac? Stac, un filo si spezza. Quello dell’acceleratore. Cazzo.
[... continua...]