martedì 25 febbraio 2014

Che freddo ad Ooty!

14 Febbraio

Lasciata la fancy-yoga Mysore ci dirigiamo verso Ooty, che scopriamo essere un’intera area, ma spesso conosciuta come una piccola cittadina nella calle della Nilgiris Hills. Non mi chiedete il nome della cittadina, ungamangaladuram,  qualcosa di simile, a sud di Mysore, appena entrati nello stato di Tamil Nadu. Un’altra delle cose surreali dell’India: Se ti fai una scheda per il cellulare intelligente, quello che va pure su internet, la connessione va ad una velocità decente solo se rimani all’interno di quello stesso stato. Se hai comprato la scheda in Karnataka (Mysore), e vai a Ooty (Tamil Nadu), la connessione da decente passa a stupefacente. Nel senso che va a spinta. E chi spinge pare si sia fatto un sacco di canne. Perché proprio non va…
Lindsey e Anastasia ci seguono per un week end fuori porta. Il posto è incantevolmente indiano. Indiano del sud. Non saprei dare un aggettivo differente.
Abbiamo questa collina, fredda. Perché fa freddo. Verde, ed il tempo è molto bello. La luce sembra una lama. Tagliente. Immagino le foto… Ormai la luce e il freddo sono le uniche due cose della nostra realtà su questo pianeta di cui non riesco a non lamentarmi. Il freddo è freddo e la luce quando  non è buona mi costringe a salti mortali per tirar fuori buone foto. Sul freddo soprattutto la meditazione ancora non fa presa. Ho accettato la morte, non riesco ad accettare il freddo.
Dicevo, la cittadina è coloratissima per via dei blocchi di cemento, che sono le case, colorati con i colori più sgargianti. Almeno riescono a strappare un sorriso e un complimento anche con blocchi di cemento semifatiscenti. Lo spettacolo della cittadina sulla collina quasi stona. Dico il cemento è cemento, eppur in qualche modo rende. Ha il suo fascino.
A Ooty non si viene per Ooty, ma per… Ooty. Spiego, non si viene per la cittadina, quella chiamano Ooty, ma per Ooty, l’area. Ooty è nella valle delle colline del Nilgiris. Luogo di diverse tribù etniche o gruppi minoritari che dir si voglia. Organizzarsi con una guida privata, e non con il giro turistico, è più difficile del previsto, ma ce la facciamo per pochi euro. La tribù Toda è l’unica con cui riusciamo ad entrare in contatto quel giorno. Ci organizziamo per passare il giorno dopo, una nottata in un alloggio Kota, una tribù vicina, ma siamo sfortunati, per il momento pare ci sia qualcosa di particolare che sta succedendo a livello di tribù, deve esser morto qualcuno di importante nelle tribù vicine e tutti sono andati. In più c’è un matrimonio di un cugino. Vai a capire. Anastasia parte la mattina dopo, Lindsey rimane nella speranza di fare la nottata con i Kota o almeno di prendere il famoso treno con locomotiva a vapore, che è Heritage conservation dell’Unesco, e il quale tragitto è bellissimo. La mattina Lindsey non riesce a prendere il treno e scopriamo appunto che non faremo la nottata con i Kota. Peccato, non ci abbattiamo e ci buttiamo tra le viuzze della colorata Ooty, la chiamo anche io così, come tutti. Scopriamo un bellissimo tempio in marmo bianco, tutto scolpito, nuovissimo. 2011. Poi il mercato. Ovviamente come quasi ad ogni mercato impazzisco con le foto, tra colori, volti, cornici di tende tipici dei bazaar cadono a perfezione per il mio tipo di reportage fotografico preferito. Io nei mercati mi sento come un tifoso di calcio in curva. Casa mia, dammi qualsiasi tipo di luce, ma te prego che non sia freddo…
La cosa meravigliosa di Ooty è accaduta appena arrivati. Dopo poche ore, subito dopo mangiato mi sono incamminato con Anastasia per un giro perlustrativo-trenoinformativo-guidagiornodopo..ivo. E’ un po’ che sospiravo la mancanza di un giro a cavallo. Non vado a cavallo da qualcosa come 5 anni. Ne andavo matto da ragazzino. Poi negli ultimi 15 anni avrò cavalcato 3 volte. Non ci lamentiamo, facciamo in modo che accada ancora. Ne parlavo con Anastasia durante il tragitto in bus da Mysore, sarebbe bella una cavalcata qui (purtroppo scopriamo che per ora è possibile solo fare il giretto idiota di un’ora. Tipo giro con l’elefante, cammello o babbuino che dir si voglia. Animali trattati male, denutriti. Io voglio andare a cavallo, non fare il giretto idiota. Voglio galoppare, divertirmi, entrare in confidenza con il ronzino di turno, voglio letteralmente sentire il vento tra i capelli. Che tengo legati, quindi il “letteralmente” non funziona. Comunque mi sono spiegato. Il giretto del cavolo l’ho fatto l’ultima volta, quando ero sicuro di una vera galoppata e un giro di 3 o 4 ore. Un’oretta intorno al laghetto vicino Roma. Ricordo invece una magnifica galoppata alle 6 della mattino, alba, in Tunisia, sulla spiaggia di Monastir. Uno dei più bei ricordi di sempre. La mia ragazza in stanza al letto, malata per la solita diarrea del viaggiatore che non sa cosa fare, incazzata nera perché io non stavo con lei a consolarla invece di godermi la vita, come ho fatto, rese l’esperienza ancora più saporita e preziosa. Roba di più di dieci anni fa.
Al solito mi perdo in chiacchiere… dicevo che avevo voglia di cavalcare. E siamo alla stazione, a controllare gli eventuali biglietti. Facciamo un giro e vedo un cavallo sulla collinetta al di la dei binari. E’ un pezzato e sembra bellissimo. Ovviamente con uno sguardo fugace di intesa con Anastasia si corre verso il cavallo. Non corriamo letteralmente, sia chiaro. Il cavallo è li, sembra legato ad un palo tramite una corda. Arrivati ci rendiamo conto che non è un cavallo, è un capolavoro, castrato-pezzato dagli occhi celesti e grigi. Ci guarda insistente mentre strappa l’erba con i labbri potenti. Bianco pezzato di nero, Qualcosa come uno e settanta al garrese, senza sella, senza briglie, solo una corda legata a… nulla. Il cavallo è libero e la corda lo segue, immaginiamo sia scappato. Che fai non cogli l’occasione? Non ascolti il sussurro di Madre Terra che ti dice: “Bello mio, qui non va la gitarella a cavallo. Zompa su questo  fantastico equino perfetto e godi della vita. Non troppo, fatti solo un giretto che magari arriva la polizia e si incazza. Poi il cavallo, capisci, è di qualcuno. Quindi fai il bravo, fatti un giretto due minuti”. Madre Terra usa una dialettica particolare quando fa utilizzo dell’italiano.  Meglio due minuti qui, con questo amico del destino che un oretta di gitarella idiota su un cavallo schiavo.
Ci studiamo, il pezzato equino ed io. Mi travesto da Robert Redford sfoggiando doti sanfrancescane e tutta l’energia di cui sono a conoscenza per entrare in contatto psichico con il suddetto statuario quadrupede. Anastasia è titubante nell’avvicinarsi e il mio nuovo futuro amico è sembra nervoso quando l’avverte. Vado cauto, siamo in India, tutto può accadere. Dico, siamo in India, LETTERALMENTE tutto può accadere. Se il tizio mi parlasse non mi stupirei più di tanto. Questo è un posto dove i treni riescono a perdersi ogni tanto. Non ti stupidi di un cavallo che parla. Lui, comunque muto rimane, ma calmo nel mio appropinquarmi, basso basso, quatto quatto, sempre di fronte. Si fa sfiorare la guancia e si allontana. Riprovo delicatamente sul naso con il dorso della mano e rimane. E rimango anche io e piano piano accarezza il suo lungo muso. Mi alzo e smetto di mangiare, mi si avvicina con il muso mentre io gli do qualche pacca sulla schiena sul collo. E’ meraviglioso. Sembra dire, monta su. Ti pare facile, non cavalco da 5 anni. E fu una volta dopo altri 7. Sei senza sella e senza briglie. Come t’ho detto però sto pomeriggio indiano mi vede nei panni di Robert Redford de’ noantri. Tentenno, ma monto. E quando sono li tutta la sicurezza e tutta la calma del mondo mi pervade. Lui scalpita un attimo, ma solo per testare. Mi dice io ci sono, se tu ci sei. Amico mio, sussurro, facciamoci sto giretto. Sussurro, perché mica ci puoi parlare coi cavalli. Niente galoppo ovviamente, un piccolo trotto e due passi su e giù per la via. HO le lacrime agli occhi. Anastasia scatta due foto, che vengono anche decentemente. Il ricordo sarebbe comunque incancellabile e ha reso il mio mese speciale più di ogni cosa.
Quella che doveva essere l’ultima serata mi perdo in chiacchiere con Lindsey, con cui condivido la stanza. Il condividere stanza, alcol, musica, fotografia, yoga, un bidi di qua e uno di la (foglia di tabacco con un filo di tabacco all’interno), ti fa dimenticare un po’ il freddo, ma crea quella peculiare situazione che rende perfetto l’utilizzo del freddo come scusa per scaldarci un po’. Almeno per una volta non ho fatto il marpione e l’infreddolita pare fosse lei.  Quindi il destino freddoloso ha tessuto una tela che ci ha permesso di assaporare quelle pelli osservate a lungo nelle lezioni di yoga.

A questo punto si rimane un giorno in più, non fa poi così freddo a Ooty dopotutto.

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