venerdì 10 febbraio 2012

Pakse, Paksong e il Plateu laoita


Pakse non è vista nemmeno di sfuggita, solo un passaggio e una chiacchiera con un viaggiatore diretto in Thailandia e quello che ci racconta conferma le nostre impressioni: Pakse non è un posto in cui fermarsi se non come trampolino per la Pianura circostante, il Plateau Boulevan o per chi viene da Sud, magari per le 4000 isole, lasciate da poco. Possiamo proseguire verso Paksong subito, senza indugi,i e il viaggio che doveva durare 90 minuti ci farà ricordare le esperienze vietnamite, solo la scorza fatta in quel mese ci farà passare questo tragitto come se niente fosse.Partenza prevista per le 15,30, esattamente quando arriva il “carico” per il bus: ovvero un tuk tuk stracolmo fin sopra il tetto, un’ora per caricare tutto sul tetto del bus che già comprendeva il pieno di persone, più un ulteriore persona per fila di sedili, nel corridoio centrale, queste sedute su due file di sacchi (patate, cipolle e altro). In questo noi entriamo ad autobus semivuoto, mezz’ora prima della partenza ufficiale con, in teoria, tutti i posti già occupati da felpe, magliette, cappotti, buste, sacchetti. Chiunque poteva salire e “prenotare” un posto, come vedrò anche quelli senza biglietto. Mi sono ricordato un insegnamento letto su una guida bistrattato, ma che fortunatamente ogni tanto da qualche saggio consiglio (e della quale, che sia una marca o un’altra, non si può fare del tutto a meno in queste parti del mondo), grossomodo era: “Non cercate di cambiare le regole o di seguire quelle occidentali. Adattatevi e comportatevi nella stessa maniera se volete ottenere risultati”. Praticamente, se siete in fila per fare un biglietto e il botteghino chiude fra pochissimo, non fate la fila perché non prenderete il biglietto, bensì come tutti quelli attorno a voi, cercate di spingere e arrivare lì davanti. Riportato su questo bus è: “Siediti dove cazzo ti pare e sposta la roba sul sedile dietro”. Detto fatto, nessuno ha detto nulla, si sono solo considerati sfortunati. O così o avremo fatto due ore sui sacchi di patate nonostante avessimo regolare biglietto per posti a sedere. Tutta la spiegazione cui sopra a Roma la riassumiamo velocemente: Come me canti te ballo.
Partiti e dopo un minuto, forse due il bus si ferma altri dieci minuti a fare benzina, mi pare giusto… Si riparte e si procede intono i quaranta all’ora visto il carico, alle cinque e trequarti circa si arriva, visti i ritardi, molto non me l’aspettavo, prevedevo inizialmente una’arrivo alle cinque, quindi… Speriamo che almeno questo non si rompa, guarda caso prendiamo i bus sempre quando c’è la partita, Roma-Inter, rinviata a oggi per neve. Neve  a Roma, epico. Qui oggi circa 34° gradi secchissimi.   Sia chiaro, so che non avrò modo di vederla, ma forse troverò una connessione per che basti per ascoltare la radio…
Niente connessione internet, almeno per la nottata che passa velocemente nonostante uno sconforto che ci prende per il letto in condizioni davvero indecente in quanto a igiene e il posto che si sapeva non conteneva nulla di interessante, ma così desolante non ce l’aspettavamo.  Coscienti che almeno una guest house migliore la potevamo ottenere cerchiamo di svegliarci preso per la mattina seguente dopo una discreta partita a scacchi.
Il giorno seguente è un odi quelli da non voler affrontare quando sei in viaggio, ma anche uno di quelli che quando devi raccontare, è il sale, perché si sa sono gli imprevisti a rendere le cose ancor più divertenti, almeno a posteriori.
Conosciamo il proprietario dell’unico posto appartenente ad un “falang”.Lui amava il caffè, lo tostava in olanda per conto suo (olandese quindi), poi ha deciso di venire a scoprire questa landa dove si dice si produca un ottimo caffè a prezzi bassissimi: Paksong. Si trasferisce per un breve periodo, ma incontra una ragazza che diventerà presto sua moglie per poi coltivare e venere il suo caffè, qui nel nulla più annullato di Paksong, che è la capitale della zona del caffè perché intorno non c’è nulla se non qualche ex villaggio tribale, composto da due baracche e tre bungalow. Paksong sono tre vie messe in croce costella te da negozietti fatiscenti e baracche. Un posto di una decadenza… Messicana, da come l’immagino. Con aggiunta, credo, di ulteriore povertà e badilate d’ignoranza, quella culturale, non quella d’educazione.
Io dico, ami il caffè così tanto da trasferirti in un posto dimenticato da Dio, ne montagne, né fiume, né mare, ne città, ne paesi. Ok, ci sono due o tre cascate e un po’ di trekking da fare ad una mezz’oretta da qui. Comunque, dicevo, per arrivare qui, la passione verso il caffè deve essere enorme; ti sei anche comprato 5 macchinette moka italiane, il massimo, perché qui la manutenzione corretta di una macchina per espresso sarebbe ridicola. Ok, ma cazzo vuoi farti spiegare come funziona la moka!!!!! E’ assurdo, tutto questo, compresa una buona produzione di un caffè davvero niente male, perché nonostante non sappia nemmeno vagamente usare la moka, l’acqua lievemente colorata di marrone ha un lontano ma discreto gusto di caffè. Non me la sono sentito di consigliarlo. Questo dedica una vita al caffè, lo fa in un posto che sembra quasi non esistere se non fosse per le guide turistiche da viaggiatore e arriva il solito rompipalle italiano, che non sa nemmeno come da dove iniziare a coltivare caffè a voler dare consigli. Fatti gli affari tuoi una volta tanto, mi son detto, lui rimane contento, italiani a lamentarsi qui è difficile che arrivino; per quanto riguarda gli stranieri (non italiani) puoi dare loro qualsiasi cosa; va bene così, sorriso e ognuno per la sua.
Cerchiamo di proseguire subito per Sekong che sono ancora le 9 di mattina, ma perdiamo il primo autobus, il secondo, dopo due ore è pieno, non troviamo nessun altra via per andare ed ecco che torna un po’ lo sconforto, nonostante la clamorosa vittoria della Roma di cui riesco ad avere notizia tramite la connessione internet del “coffe” olandese, che mi aveva fatto iniziare la giornata con un grandissimo sprint. Il sole cuoce proviamo ad andare alle cascate di Tat Lo, in direzione opposta, ma nulla, nessuno si ferma al nostro impietoso autostop, nemmeno il sorngtrew, il grosso tuk tuk che fa servizio di trasporto qui come in Thailandia. Decidiamo di tornare a Pakse, con un altro sorngtrew e da li tornare, almeno in parte indietro, con un bus fino a Tat Lo. Operazione che si concretizza dopo un’ora di sosta alla stazione di Pakse, già visitata ieri, pancia di questo inferno di bus stracolmi e sorgntrew che cercano nel loro piccolo di portare tutto quello che porta fratello bus, solo con una montagna e confusione e implosione di colori. Sono seduto mentre scostante guarda la scena di carico di un bus e uno di questi colorati super sorngtrew ceh vengono anche chiamati Jumbo, lo sconforto passa, gli imprevisti accadono.Guardo il tizio sul tetto del sorngtrew che si sta facendo un mazzo tanto per caricare, è un puntino blu in mezzo all’oceano di colori di pacchi e scatoloni d’ogni tipo. Sorrido. Che paese assurdo il Laos. Qui c’è del surreale.

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