Pakse non è vista nemmeno di sfuggita, solo un passaggio e una
chiacchiera con un viaggiatore diretto in Thailandia e quello che ci racconta
conferma le nostre impressioni: Pakse non è un posto in cui fermarsi se non
come trampolino per la Pianura circostante, il Plateau Boulevan o per chi viene
da Sud, magari per le 4000 isole, lasciate da poco. Possiamo proseguire verso
Paksong subito, senza indugi,i e il viaggio che doveva durare 90 minuti ci farà
ricordare le esperienze vietnamite, solo la scorza fatta in quel mese ci farà
passare questo tragitto come se niente fosse.Partenza prevista per le 15,30,
esattamente quando arriva il “carico” per il bus: ovvero un tuk tuk stracolmo
fin sopra il tetto, un’ora per caricare tutto sul tetto del bus che già
comprendeva il pieno di persone, più un ulteriore persona per fila di sedili,
nel corridoio centrale, queste sedute su due file di sacchi (patate, cipolle e
altro). In questo noi entriamo ad autobus semivuoto, mezz’ora prima della
partenza ufficiale con, in teoria, tutti i posti già occupati da felpe,
magliette, cappotti, buste, sacchetti. Chiunque poteva salire e “prenotare” un
posto, come vedrò anche quelli senza biglietto. Mi sono ricordato un
insegnamento letto su una guida bistrattato, ma che fortunatamente ogni tanto da
qualche saggio consiglio (e della quale, che sia una marca o un’altra, non si
può fare del tutto a meno in queste parti del mondo), grossomodo era: “Non
cercate di cambiare le regole o di seguire quelle occidentali. Adattatevi e
comportatevi nella stessa maniera se volete ottenere risultati”. Praticamente,
se siete in fila per fare un biglietto e il botteghino chiude fra pochissimo,
non fate la fila perché non prenderete il biglietto, bensì come tutti quelli
attorno a voi, cercate di spingere e arrivare lì davanti. Riportato su questo
bus è: “Siediti dove cazzo ti pare e sposta la roba sul sedile dietro”. Detto
fatto, nessuno ha detto nulla, si sono solo considerati sfortunati. O così o
avremo fatto due ore sui sacchi di patate nonostante avessimo regolare
biglietto per posti a sedere. Tutta la spiegazione cui sopra a Roma la
riassumiamo velocemente: Come me canti te ballo.
Partiti e dopo un minuto, forse due il bus si ferma altri dieci minuti
a fare benzina, mi pare giusto… Si riparte e si procede intono i quaranta
all’ora visto il carico, alle cinque e trequarti circa si arriva, visti i
ritardi, molto non me l’aspettavo, prevedevo inizialmente una’arrivo alle
cinque, quindi… Speriamo che almeno questo non si rompa, guarda caso prendiamo
i bus sempre quando c’è la partita, Roma-Inter, rinviata a oggi per neve.
Neve a Roma, epico. Qui oggi circa
34° gradi secchissimi. Sia
chiaro, so che non avrò modo di vederla, ma forse troverò una connessione per
che basti per ascoltare la radio…
Niente connessione internet, almeno per la nottata che passa
velocemente nonostante uno sconforto che ci prende per il letto in condizioni
davvero indecente in quanto a igiene e il posto che si sapeva non conteneva nulla
di interessante, ma così desolante non ce l’aspettavamo. Coscienti che almeno una guest house
migliore la potevamo ottenere cerchiamo di svegliarci preso per la mattina
seguente dopo una discreta partita a scacchi.
Il giorno seguente è un odi quelli da non voler affrontare quando sei
in viaggio, ma anche uno di quelli che quando devi raccontare, è il sale,
perché si sa sono gli imprevisti a rendere le cose ancor più divertenti, almeno
a posteriori.
Conosciamo il proprietario dell’unico posto appartenente ad un
“falang”.Lui amava il caffè, lo tostava in olanda per conto suo (olandese
quindi), poi ha deciso di venire a scoprire questa landa dove si dice si
produca un ottimo caffè a prezzi bassissimi: Paksong. Si trasferisce per un
breve periodo, ma incontra una ragazza che diventerà presto sua moglie per poi
coltivare e venere il suo caffè, qui nel nulla più annullato di Paksong, che è
la capitale della zona del caffè perché intorno non c’è nulla se non qualche ex
villaggio tribale, composto da due baracche e tre bungalow. Paksong sono tre
vie messe in croce costella te da negozietti fatiscenti e baracche. Un posto di
una decadenza… Messicana, da come l’immagino. Con aggiunta, credo, di ulteriore
povertà e badilate d’ignoranza, quella culturale, non quella d’educazione.
Io dico, ami il caffè così tanto da trasferirti in un posto
dimenticato da Dio, ne montagne, né fiume, né mare, ne città, ne paesi. Ok, ci
sono due o tre cascate e un po’ di trekking da fare ad una mezz’oretta da qui.
Comunque, dicevo, per arrivare qui, la passione verso il caffè deve essere
enorme; ti sei anche comprato 5 macchinette moka italiane, il massimo, perché
qui la manutenzione corretta di una macchina per espresso sarebbe ridicola. Ok,
ma cazzo vuoi farti spiegare come funziona la moka!!!!! E’ assurdo, tutto
questo, compresa una buona produzione di un caffè davvero niente male, perché
nonostante non sappia nemmeno vagamente usare la moka, l’acqua lievemente
colorata di marrone ha un lontano ma discreto gusto di caffè. Non me la sono
sentito di consigliarlo. Questo dedica una vita al caffè, lo fa in un posto che
sembra quasi non esistere se non fosse per le guide turistiche da viaggiatore e
arriva il solito rompipalle italiano, che non sa nemmeno come da dove iniziare
a coltivare caffè a voler dare consigli. Fatti gli affari tuoi una volta tanto,
mi son detto, lui rimane contento, italiani a lamentarsi qui è difficile che
arrivino; per quanto riguarda gli stranieri (non italiani) puoi dare loro
qualsiasi cosa; va bene così, sorriso e ognuno per la sua.
Cerchiamo di proseguire subito per Sekong che sono ancora le 9 di
mattina, ma perdiamo il primo autobus, il secondo, dopo due ore è pieno, non
troviamo nessun altra via per andare ed ecco che torna un po’ lo sconforto,
nonostante la clamorosa vittoria della Roma di cui riesco ad avere notizia tramite
la connessione internet del “coffe” olandese, che mi aveva fatto iniziare la
giornata con un grandissimo sprint. Il sole cuoce proviamo ad andare alle
cascate di Tat Lo, in direzione opposta, ma nulla, nessuno si ferma al nostro
impietoso autostop, nemmeno il sorngtrew, il grosso tuk tuk che fa servizio di
trasporto qui come in Thailandia. Decidiamo di tornare a Pakse, con un altro
sorngtrew e da li tornare, almeno in parte indietro, con un bus fino a Tat Lo.
Operazione che si concretizza dopo un’ora di sosta alla stazione di Pakse, già
visitata ieri, pancia di questo inferno di bus stracolmi e sorgntrew che
cercano nel loro piccolo di portare tutto quello che porta fratello bus, solo
con una montagna e confusione e implosione di colori. Sono seduto mentre scostante
guarda la scena di carico di un bus e uno di questi colorati super sorngtrew
ceh vengono anche chiamati Jumbo, lo sconforto passa, gli imprevisti accadono.Guardo
il tizio sul tetto del sorngtrew che si sta facendo un mazzo tanto per
caricare, è un puntino blu in mezzo all’oceano di colori di pacchi e scatoloni
d’ogni tipo. Sorrido. Che paese assurdo il Laos. Qui c’è del surreale.