sabato 5 novembre 2011

Il mercato galleggiante, l'isola e le malabitudini di questo Vietnam.


Mentre sono in aeroporto per tornare a Saigon come sempre ricordi e aneddoti simpatici tornano alla mente. Una cosa che avevo dimenticato di riportare è il Pharmezzane.
Nella vita non ho viaggiato poco e il Parmiggiano è una di quelle cose che vengono tradotte quasi sempre male, un po’ come gli spaghetti alla bolognese, ma Pharmezzane è in assoluto il top della lista di mala traduzione. E’ incredibile. Incredibile è anche il non voler nemmeno provare a cercare su internet la parola corretta, ma come ti viene in mente Pharmezzane?
Sin dalla Thailandia ho visto e scritto di persone che andavano in tre in motorino con molta tranquillità e a volte quattro, qui in Vietnam quattro è abbastanza comune e poi ho visto una cosa a Can tho… In occidente generalmente quando si ha una famiglia numerosa si tende ad acquistare una monovolume, e qui? Qui il rapporto è ovvio, anche se non ci si pensa: Si compra uno scooterone. Se in motorino si va in quattro figurati con uno scooter grande e infatti ho visto una famiglia composta di cinque elementi scendere da uno di questi attrezzi che inondano le nostre città, ma qui sono un lusso. In cinque. Con un incidente si fa il filotto, ma forse i due in mezzo si salvano. E’ inutile dire che il casco lo hanno solo i genitori, dei figli chissenefrega…
Torniamo a noi, il giorno dopo il nostro primo allagamento ci svegliamo presto per raggiungere facilmente Cai Rang, il famoso e più grande mercato galleggiante del delta di questo storico fiume. Lo spettacolo già da lontano è bellissimo, affascinante, ma sicurmente il mercato è più piccolo di quello che m’aspettavo.
Noleggiata barca e “conducente” dopo immancabile trattativa (non sia mai!). Il guro dura poco più di mezz’ora, ma è più che sufficiente per visitare il mercato con calma e scattare tutte le foto possibili. Devo dire che sono soddisfatto del reportage che ho tirato fuori, soprattutto perché la luce non era semplicissima, praticamente potevo fotografare solo una parte del mercato perché l’altro lato era totalmente in controluce a quell’ora della mattina.
Lo spettacolo è come m’aspettavo. Sono rapito. E’ Diverso da tutto. Vedi la gente che davvero vive del fiume, con il fiume. Il Mekong è linfa, sangue, sostentamento, aria, acqua, amico, problema, compagno. Qui la maggior molti mercanti hanno casa e molti altri vengono dal nord del delta o anche dalla Cambogia. Ci sono i mercanti e chi compra per poi rivendere, questi sono principalmente gli abitanti di questa parte del fiume con case sulle fatiscenti barche ceh chiamarle case è DAVVERO un volo pindarico. Niente di sconvolgente, è qualcosa che t’aspetti a meno che non sia il primo viaggio della tua vita, ma resta e resterà sempre un qualcosa che mi attrae in maniera molto forte. Poter assistere a questi angoli del mondo, immergermi in una piccola parte della loro conoscenza, nella loro cultura per poter apprendere non solo leggendo e studiando, ma vivendo è irresistibile. E’ il motivo per cui viaggio, è il pane quotidiano che appaga la mia fame. E’ un pianeta meraviglioso, ma ogni volta che visito queste ricchezze mi rendo conto che c’è davvero troppo da vedere e tutta la vita non mi basterà mai. Vivo attimi di disperazione per questo.
Torniamo alla guest house nemmeno all’ora di pranzo ci “imabagagliamo” per partire subito, il tempo e poco e già so che dovremo rinunciare a tanto.
L’isola di Phu QUoc sarà molto bella, ma ne ho vista davvero poco, perché ogni volta che trovo una bella spiaggia, e qui si parla di una spiaggia stupenda e un bungalow economico fronte mare, tendo a tralasciare la cascata o l’ennesimo posto da vedere, godendo semplicemente di un po’ di sole, ma re e la mia dose d’ozio. Visitiamo solo il mercato notturno del paese principale, intenti il giorno dopo con lo scooter affittato a visitare le cascate. Purtroppo con le chiavi non siamo fortunati. Stavolta non le perdo, semplicemente le aveva perse qualcun altro prima di me e aveva fatto una copia con la quale, se chiudi il motorino con la sicura sull’accensione (cosa vista solo qui nel sudest asiatico), non è più possibile riaprire, ci vorrebbe l’originale. Non hanno avuto la premura di dirlo… Serata buttata, motorino lasciato in polizia perché qui li rubano e taxi verso l’albergo. Il giorno dopo un po’ annoiati rinunciamo alla visita all’isola e decidiamo semplicemente di finire di gustarci i relax perché tanto di posti da vedere ce ne saranno molti e ci aspetta un viaggio non troppo leggero, sappiamo che i ritmi, visto il tempo ridotto per via del visto saranno serrati. Solo è stato spiacevole che nonostante il piccolo disagio il tizio dei motorini volesse comunque i pochi dollari per l’affitto, cosa che da me non ha visto. Questione di principio, non ti do nemmeno un dollaro!
Phu Quoc nel crepuscolo riesce a regalarti colori nel cielo spettacolari, come forse non ho mai visto prima. Il tramonto è bello, ma come tanti altri sul mare, è proprio il crepuscolo il momento migliore per godere di uno spettacolo unico, immancabile una aperitivo al tramonto, perdersi questi colori che viaggiano dal giallo all’azzurro mischiandosi con forti tonalità di porpora e violetto sarebbe imperdonabile. Spero di averli catturati bene con la mia macchina.
Il brutto ricordo che ho di quest’isola è il momento in cui ho realizzato il non rispetto che il Vietnam ha per il mare. Questo è un posto stupendo, ho visto ancora non molto di questo paese e già posso dire che a livello naturale è un posto davvero ricco. Passeggiare sulla bellissima long beach di quest’isola e vedere innumerevoli buste di plastica galleggianti vicino la riva rattrista. Il mare ne è pieno, io ne ho tolti dall’acqua in tre giorni almeno una ventina. E’ norma gettar di tutto al mare, anche rifiuti con tanto di busta di plastica. Ricordo la signora della barca di Cai Rang, il mercato galleggiante, il motore le si era fermato e controllandolo ha trovatola causa in un sacchetto aggrovigliato all’elica, una volta tolto che fa? Lo ributta in mare. Non c’è la concezione d’inquinamento. Tutto in mare. Vedo infatti che almeno qui al sud l’acqua magari è bella , ma mai bellissima come magari l’ho trovata in Indonesia e sicuramente lontana anni luce da quel poco visto in Thailandia di gusterò meglio e più a lungo tra poco tempo.  Speriamo che qualcuno insegni presto a rispettare il mare ai figli di Ho chi Minh. Speriamo che al nord sia migliore, aspetto con ansia Halong Bay, una delle meraviglie del mondo, a quanto dicono.
Da riportare il viaggio da Cant ho a Rach Gia, località dove si prende l’aliscafo per l’isola. Ci aspettavamo il classico pullman, niente di sensazionale, ma normale. Invece grazie all’amica Lonley, sempre utile per dormire sempre portatrice di problemi per il resto abbiamo preso la stazione sbagliata, perché l’unica riportata. Noi convinti di andare nella stessa dove eravamo arrivati e dove transitano e si fermano i pullman turistici, siamo invece stati indirizzati in quella locale, dove partono i piccoli bus devastati da ogni cosa. Sembra abbiano fatto la guerra e avuto malattie di ogni tipo, dal vaiolo alla scabbia. Sono distrutti letteralmente, non capisco come possano camminare. I posti minuscoli e non c’è un reale spazio per i bagagli. Quindi ora immaginate:
Bus piccolissimo, posti adatti alla grandezza di un bambino con zaini e borse (e chitarra) tra le gambe. Da aggiungere l’assenza di aria condizionata con un caldo torrido e almeno tre o quattro persone in più rispetto al numero dei posti. Ammetto che alla fine sia stato divertente e ci si ride sopra, ma il viaggio di tre ore è stato più duro di un volo di quindici. Il caldo è sedato dall’aria dei finestrini che però sbattono violentemente ad ogni curva, o buca (e c’è una buca ogni sette centimetri) creando un frastuono assordante che si aggiunge al clacson suonato costantemente per tutte e tre le ore. In Vietnam c’è l’abitudine di suonare il clacosn ogni qual volta ci si avvicini ad un altro mezzo, mentre lo si sorpassa e anche in prossimità di persone, anche se queste non sono sulla strada. Aggiungi anche che il conducente deve esser stato un amante del clacson perché ogni colpo era mooooolto prolungato, come ad evitare un pericolosissimo e quasi certo incidente. Unite quanto sopra riportato ad un clacson quasi costante per tre ore di fila. Non è un iperbole, è realmente stato suonato il clacson per tre fottute ore! Non è mica finita, il piccolo bus ad ogni frequente buca  o dosso saltava come fosse su un trampolino facendoci dare qualche violenta capocciata sul tetto. Basta? No, perché qui c’è l’abitudine come in tutti i paesi comunisti asiatici, di far innumerevoli soste su l tragitto epr prendere altri passeggeri in nero. Quindi il viaggio prolunga ulteriormente, di almeno un ora abbondante. Ci sono tratti in cui ferma ogni quattro cinquecento metri, rendendo il tutto davvero snervante, bisogna abituarsi, lo farò nel viaggio successivo, accorgendomi che a volte è impossibile non optare per un minibus (perché è sì un esperienza pittoresca, ma da fare non più di una volta, e invece…)
Dire un incubo è forse riduttivo, Polly mi ha detto che quando siamo scesi avevo gli occhi sbarrati. Quello che so è che ero fortemente stordito con un mal di testa così forte da affievolire anche l’udito.
Non è che poi quando scendi ti rilassi un attimo perché vieni letteralmente assaltato da venti vietnamiti che ti vogliono portare ai vari albergehtti per pochi dollari, ma in motorino. Vorresti sterminarli in quel momento, non è colpa loro, non capiscono, ma in quel momento non puoi essere paziente e buon viaggiatore amante del mondo come sempre. In quel momento ha isolo un martello pneumatico che ti batte in testa. Figuriamoci poi se prendo un motorino come passeggero con uno zaino da quindici chili sulla schiena, un altro (quella della fotocamera) da almeno otto chili e la chitarra. Loro dicono che non c’è problema, ma loro ci provano, tanto poi se t’ammazzi non è un grosso problema, è solo un turista in meno…
Ogni tanto la simpatia verso i vietnamiti viene davvero meno perché purtroppo la solita mentalità asiatica irritante e aumentata dalla povertà è straripante. Il discorso da fare sarebbe lungo e profondo c’è alla base una rieducazione o educazione di un polo da fare. Così facendo è anche molto difficile esimersi dalla povertà, cogliere quelli pochi treni che passano per poter respirare meglio. E’ chiaro che non è colpa loro, dei singoli, i vietnamiti, nella maggioranza, sono da considerarsi un gran popolo, simpatico, disponibile. E’ un discorso che implica generazioni e cultura che parte da lontano. Il comunismo è una gran teoria, una splendida utopia che applicata all’uomo non ha modo di funzionare per migliaia di motivi, è una cosa facilmente visibile a chiunque entri e respiri l’aria di paesi di questo tipo. Evitiamo di parlare di politica però, tanto non capireste come la penso e non mi sembra nemmeno il luogo adatto. Poi se c’è una cosa che mi annoia è proprio la politica.
Tornando a noi.
Raggiunta Rach Gia dopo il pazzesco viaggio e passata la notte per riprendermi compro i biglietti per l’aliscafo che ci porterà sull’isola.
I biglietti sono terminati. E te pareva…
La realtà è che i biglietti non sono affatto terminati, ma c’è una mafietta, per guadagnare dollari in nero extra, che organizza questo teatrino:
Fino al giorno prima non c’è problema, il giorno stesso ti dicono che i biglietti sono finiti, è tutto pieno o te ne vai al paese vicino (2 ore di bus) e parti da lì, oppure compri i biglietto al mercato nero. Che sarebbe ro sempre loro. Loro sono sia l’ufficiale che il sottobanco. Tutto in casa. Si sono organizzati tutti tu va ida uno qualsiasi, ti spiega la situazione dicendoti che loro non centrano nulla., solo che sono finiti perché gli ultimi li hanno comprati i ragazzi del posto e tu ho li paghi di più o niente. Ora, io lì per lì ho provato a impuntarmi a trattare, a girare altri posti, e vedendo i movimenti ho trovato pure il “capetto” che altro non era che il proprietario della prima chioschetto. Alla fine sono partito pagando questi pochi spicci in più, si parla di circa quattro euro, niente di che la malfatta. Alla fine mi sono divertito a studiare il tutto, altra piccola esperienza.
In tutto questo devo capire, apro una parentesi, perché le qui tutti si coprano così tanto. Gli uomini non tutti, comunque molti portano pantaloni lunghi e felpa a siamo a trenta gradi. Le donna più o meno tutte sono copertissime e non è nulla di religioso. Si coprano con mascherine e cappello tipico. Tu pensi per il sole, perché per cultura magari come altri asiatici non vogliono prendere il sole, lo reputano in qualche maniera non adatto a loro, ma poi alla fine ti guardi intorno e vedi che i vietnamiti del sud sono scuri di carnagione se lo facessero per il sole perché coprirsi anche con uno o due felpe? E in motorino i guanti di lana? HO visto una donna con i pantaloni di velluto e le calze. Di donne con le calze pesanti tantissme, anche in lana. Come quando da noi la temperatura scende sui dieci gradi. Sarà mica davvero perché hanno così freddo. A trenta gradi? Cioè loro iniziano a sentire caldo dopo i cinquanta? Devo informarmi, sapevo che gli indonesiani ad esempio a venti gelano. Qui siamo a trenta… giuro fa proprio caldo, non umido in questo periodo, ma è una temperatura che noi chiameremo estiva, di sera generalmente ventisei gradi… Comunque ora inizio ad andare verso il nord, la temperatura scenderà.
Mi fermo un'altra sera a Saigon al ritorno. Andremo a vedere Mui ne, un paio di gironi al massimo poi Dalat. L’attesa vera, l’ho scritto: E’ Halong Bay.






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