4 Marzo
Eccoci a Calcutta, dopo un volo da Chennai. Abbiamo preso la
via facile, 35 ore di treno non ci stavano proprio, nemmeno tutti sti soldi per
un volo interno, soprattutto considerata la compagnia low cost. Indigo, davvero
non low cost.
Calcutta, forse per molti, è quello che non ti aspetti.
Pungenti puzze smantellate a destra e a manca, davvero in ogni dove,
raggiungono il tuo esofago, il tuo stomaco, i tuoi polmoni straziandoti e
colpendoti duro. Così come le immagini. Una quantità di informazioni quasi
ingestibile. Caldo, un caldo che quasi strema, e siamo lontanissimi dai picchi
di quasi 50 gradi umidi che Calcutta sa regalare. Il caldo, anche forte, almeno
questo, lo gestisco alla grande, è pane per i miei denti come si soleva dire
tempo addietro. Qui il tutto è mescolato con tutto il resto. Hai il traffico.
Traffico assordante di clacson infiniti e decisamente burini. Traffico di macchine
rotte, vecchie, improvvisate. Traffico di Rickshaw trainati da riacei anziani
dalla pelle sottilissima, secchi come grilli, potenti come trattori. Hai i
cani, che sono solo ed esclusivamente randagi. O sono randagi o sono morti.
Questi i cani di Calcutta. Hai i bambini, sempre nel traffico con i rickshaw,
le macchine, e i cani. I bambini che spuntano ovunque e in ogni momento,
rischiando la vita ogni millisecondo. Hai i carrettini vari di cibo e/o bevande
non-alcoliche. Mettici anche le mosche, attratte dal putridume. Tutto questo
scorre su un insieme di catrame che fa da asfalto, mischiato principalmente a
piscio e merda. Merda di cane, di ratto, di piccione e di uomo. Merda che si
secca diventa polvere e entra nei tuoi polmoni. Ovviamente va aggiunta una
quantità indefinita di plastica, di cartacce, di rifiuti organici e non
indefiniti, cani morti, persone morte (che fortunatamente io non ho visto, ma
capita), cibo vario.
Poi c’è la cornice del tutto. Il traffico, che è il sangue
che scorre su quel pavimento, ma tutto è in una cornice che come il resto,
regala solo Calcutta. I palazzi, tutti decadenti, o la stragrande maggioranza,
sono incredibilmente belli, per la maggior parte. Residui coloniali del tempo
che fu. Palazzi incredibili che mi ricordano Yangon e il mio lavoro proprio su
questo argomento. Conservazione degli edifici coloniali. Cosa che andrebbe
fatta qui vista la grandezza del problema. Yangon è un piccola percentuale
rispetto a quello he Calcutta offre, almeno in termini di quantità, perché
onestamente neanche qui ho visto roba come il Secretariat di Yangon. Questi
palazzi incredibili è generalmente fatiscenti si stagliano sulle strade
declinandosi tra le viuzze, alternati a palazzacci zozzi più moderni.
Generalmente decadenti come sopra. I cavi elettrici sembrano essere i nervi di
questo organismo. Perché sta città è viva, nel senso è proprio viva. Sanguina,
ride, pulsa, urla un sacco. I cavi sono i nervi. Cavi che mi ricordano Budapest,
perché fu la prima con questa grande quantità di cavi per aria, cosa che poi ho visto in numerosi posti. Qui
siamo in India. Qui passiamo Pro. I cavi sono qui, tutto il resto è roba da
dilettanti. Alla base dei palazzi una moltitudine di esseri viventi sdraiati,
mendicanti, chiacchieranti, venditori di cibo, libri, calzini o quello che ti
viene in mente di super economico. Non pensate, generalmente, comunque, qui ci
sono quelli che si sdraiano, pigri, e chiacchierano. Questo almeno è il cliché
del tipico abitante di Calcutta. Sei i Punjabi so i caciaroni, stile Napoli,
qui so i pigri, che si sporcano per terra e non hanno voglia di fare un cazzo.
Stile solo Calcutta. Loro non fanno talmente nulla che ovviamente non possono
avere una casa o altro. Quindi vivono per strada. Fra circa venti milioni di
persone a Calcutta (se dai retta ai numeri ufficiali sono un po’ meno, ma vieni
a Calcutta e capisci che i non registrati potrebbero essere anche di più), un
paio di milioni vivono per strada. Giuro la sera, quando Calcutta si spegne, le
stesse strade che erano piene di quelle persone ai bordi dei palazzi, aiutando
ad “abbellire” la cornice, sono quelle persone che vivono li. Dormono li e generalmente
si lavano li.
Calcutta.
Ti potrebbe venire da vomitare.
Eppure tanta gente la ama. Io sono pazzo di Calcutta, eppure
odio il caos a quei livelli. Ragazzi il vero Caos indiano non ha eguali al
mondo. Delhi, Calcutta, Bombay. Non ci sono paragoni, altro che ammassi cinesi-giapponesi-filippini.
Qui il caos è caldo, unto, urlante, ammalato, contagioso, asfissiante, polveroso
e bagnato allo stesso tempo, per non dimenticare sporco, puzzolente, a tratti
stupido, irriverente, irrispettoso. Calcutta.
Io vado pazzo per Calcutta. Quattro giorni sono
esageratamente pochi per ‘sto posto. Il mercato, forse, più suggestivo della
mia vita. Calcutta è un paradiso per un ritrattista, un reportagista, uno
street photographer. Non smetteresti mai, dovresti avere quattro camere con
quattro lenti fisse per essere vagamente soddisfatto. C’è troppa roba che è difficile concentrarsi
su qualcosa. Ricordiamoci che poi il tutto, dico tute le informazioni da
fotografare, sono da fotografare in quella cornice con tutto il resto. Quindi
non è nemmeno facile.
Altro grande ruolo lo svolge il cibo da strada, quasi
pericoloso, ma con stomaci ed intestini allenati come i nostri, magnetizzando
tutta l’energia positiva possibile, facendo reiki al cibo, e alla fine, nemmeno
pensandoci troppo, ci buttiamo dentro il cibo da strada in maniera pittoresca.
Quasi tuffatori olimpici. E’ una meraviglia per il palato non c’è che dire.
Questo ovviamente dopo che il palato si riforma vito che venne trafitto da
titaniche flotte di spezie super piccanti. Che i primi tempi hanno effetto
caustico che manco la soda. Ci si potrebbero sturare fogne. Infatti qui le
fogne fanno schifo come manco ai tempi dei romani, ma funzionano alla grande.
Come quelle dei romani appunto. Tra l’altro
per la metà sono a celo aperto.
Potrei scrivere per due o tre anni ininterrotti su Calcutta
viste le informazioni.
Butto lì invece che noi siamo stati bene, io sembravo un
ragazzino in un negozio di giocattoli commestibili intinti nella cioccolata. Il
paradiso. Abbiamo camminato e mangiato molto. Ci siamo persi tra mercati incredibili,
con puzze antichissime. Penso che siano puzze protette dall’Unesco. Abbiamo
visto un mercato bordo fiume, così intenso e pieno che è stato arduo da
attraversare. Eppure ad un certo punto è passato un tir. Brodo fiume, in mezzo
al tutto. IO me la ridevo…. Seee E questo do va mo’. Zitto zitto è passato.
Dove non passavano nemmeno le persone. Due botte di clacson, tempo alla gente
di comprimersi su quello che c’era per comprimersi. Bancarelle di frutta e
verdure sollevata o spostate di quei 7 o 8 centimetri per dar spazio giusto
giusto alle ruote della bestia. E tutto come prima. Pochi minuti. In India
tutto è possibile. Qui i ricchi nella cruna dell’ago ci vanno in groppa al
cammello che si ingroppa un cavallo. Tutto dentro una jacuzzi trasportata da un
tir. Ve lo giuro in India, i tir sono una cosa a parte.
Non riesco ad andare nel mitico Sonegachi, il mega quartiere
a luci rosse. Un quartiere che è più grosso di Pattaya, la città Bordello
Thailandese. Barbi ci va con una guida, il giorno dopo la mia partenza. Dice
che è una cosa allucinante, sporco, infimo, pericoloso, ladro, brutto e
bugiardo. Quindi incredibile. Tornerò.
Calcutta. Immagino la odino quasi tutti. Uno dei posti che
mi ha colpito di più in vita mia. Da organizzarci un workshop di street
photography. Devo anche tornare per fotografarla. Di più. Molto di più.
Io amo Calcutta.
P.S.
Non si può andare in Bangladesh. Il visto per l'India, lo fanno, ma non si sanno mai i tempi e possono essere lunghi. Devo essere a Pushkar per il 16. Il 17 c'è, l'Holi. Non posso mancare. L aspetto da un anno. Quindi Barbi si libera sulla fascia scattando verso Varanasi e i suoi leggendari Gath. Io rubo il tempo al difensore e mi involo verso Bangkok, dove scarterò abilmente l'ambasciata Indiana (cosa mai semplice), prima di buttarmi in aria, vista l'assenza di una porta in cui segnare. Anzi mi butto in acqua. Torno a Casa. Torno a Koh Tao.
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