mercoledì 19 novembre 2014

Manali-Leh in moto... continua

[...]
Fermi tutti ho il cavo di ricambio. Ragazzo saggio.
Non so cambiarlo.
So farlo io! Esclama un sorridente ragazzo indiano, facente parte di un gruppo di sei sedicenti (!?) ragazzi di Delhi, con la macchina rotta due chilometri più avanti.
Lo lascio fare, sapendo bene che qui in India più o meno tutti sanno mettere le mani su una Royal Enfield.
Lui non ci riesce, manca qualcosa.
Allora aspettiamo. Sofia nell’attesa trova un passaggio per andare alla caserma militare dove, sicuramente, ci sarà un meccanico.
Nel frattempo io trovo un ragazzo che dice di saper perfettamente riparare una moto, in caso abbiamo tutti i pezzi. Lo porto alla tenda, e dopo due minuti mi dice che non si può fare, manca l’ago del carburatore.
Come fa a mancare l’ago del carburatore (il carburatore ha un ago!????) era accesa venti minuti fa, ci ho girato.
Allora qualcuno ha fatto qualcosa. Allora l’amico Indiano, il primo, ha fatto un danno, ha perso l’ago, anche se effettivamente, come ha fatto a perdere quest’ago, non si sa.  Sta di fatto che senza quest’ago…
Arrivano i militari, sofi dietro in moto con qualcun altro, perché le donne non possono salire su mezzi militari Indiani. Ovviamente non ci sono donne militari in India. Non sono ammesse, credo. Questa ragazzina di 19 anni, bella come un angelo, è riuscita a far muovere, l’esercito. Un camion e tre militari di cui uno Sikh, si presentano. Lei felicissima, racconta di esser stata accolta alla grande, le hanno offerto succo di mango, ha parlato al telefono col comandante… E’ venuto il meccanico. Niente, senza ago non si muove, esercito o non esercito. Avremmo potuto smuovere la NATO. Ci vuole un cazzo ago. O si torna in qualche modo indietro a Keylong, arriviamo stasera, e torniamo domani sera, o lasciamo la moto qui e in qualche modo faremo, manderemo a prenderla, o magari troviamo un modo per rispedirla a Manali. Non avendo trovato in un paio d’ore posto su un tir per caricarla. Nessuno si arrabbia, nessuno perde la pazienza. Non ci si lamenta, si guarda la perfezione dell’universo, ci si incuriosisce e ci si butta in questa nuova avventura. Metà viaggio in moto, meta autostop sui tir. Il modo più lento e comodo di viaggiare in India. Praticamente gratis. Comodi, perché in india, a parte il sedile del conducente, tutta la cabina è coperta, sempre, da un cuscino-materasso. Comodissimo. Partono i Chillum e si "bumma" l’Himalaya e la potenza di Shiva, cristallina da queste parti. Fermata notturna a Pang, 4600 metri. Passati altri due passi. LA notte è tranquilla, sotto grandi coperte, il giorno dopo i nostri amici partono presto, noi decidiamo di prendere il primo tir che passa e va fin su. Lo becchiamo dopo un oretta. Più silenzioso e leggermente più veloce del primo. Lui non parla assolutamente inglese.  Il primo un po’. Cerco di farmi valere con il mio indiana, ancora poca cosa, ma qualcosina qui e li incastro, un po’ di vita viene raccontata, molto stilizzata. Gonfio sempre il petto quando loro si meravigliano che io sappia leggere il devanagari (l’alfabeto indiano) , e io rilassato, ma si non è difficile, tre giorni e lo impari. E il mio ego si sente poliglotta quando la realtà è che dico tre o quattro cose in indiano, anche leggendolo, non so effettivamente quello che sto leggendo. Per il resto si parlicchia Spagnolo e ormai un inglese di cui non mi lamento. Anche perché mi ritrovo spesso ormai a pensare in inglese e fa sempre un certo effetto.  Quindi si passa per il secondo passo più alto al mondo, il maggiore di questa strada, il Tanglang. 5300 metri e passa, qui davvero senti l’aria che manca, esercizio e tutto apposto. Ultima sosta prima della dogana per i tir. Incontriamo il primo Tir, l’autista giovane con il proprietario del tir. Il proprietario del primo e il guidatore del secondo (il secondo viaggia da solo) si conoscono, dice il tipo, lui è stato il mio driver per 5 anni! Mezz’ora di riposo e si riparte, i due driver si cambiano tir. Quindi rimaniamo sul secondo tir, ma primo driver.  In serata si arriva, torniamo sul primo tir, e arriviamo, finalmente, più riposati di quello che ci fossimo aspettati, a Leh. Una città particolare. Qui si vive a 3500 metri. Non è uno scherzo. Aria o no bisogna abituarsi, bisogna muoversi con calma e lasciare al fisico i un paio di giorni per adattarsi. Purtroppo arrivati a Leh la mia malattia esplode ferocemente, più forte di sempre. Il mio stomaco diventa una lavastoviglie e io divento un impianto a gas, letteralmente. Almeno non puzzano.
La cosa bella, incredibile, meravigliosa,  è tutto il viaggio che ti passa davanti agli occhi. Incredibile avventura, altro regalo di Mamma India, che tanto da e spesso, vedi la mia malattia tanto toglie. Comunque sempre ne vale la pena. Abbraccio Dudu, arrivato pochi giorni prima in bus, Oren, Oz gli altri amici Israeliani Non c’è stato nemmeno bisogno di un appuntamento, guarda caso ci siam beccati nel posto giusto al momento giusto. . E’ sempre un piacere rincontrarvi ragazzi.

Nessun commento:

Posta un commento