sabato 2 giugno 2012

Myanmar


Myanmar, o Birmania come si chiamava una volta e come ancora la chiamano i suoi cittadini.
Yangon, la sua capitale. Una città bellissima, dal mio punto di vista, e con delle potenzialità strepitose. Ricchissima di palazzi coloniali che ti lasciano di stucco, la pagoda più grande dell’asia, d’oro, nella quale si trovano alcune reliquie (capelli) del Buddha. Gente ospitale, cordiale, nella maggioranza. Una città con un’anima fortissima, un’identità spiccata.
Sono rimasto davvero impresso e credo proprio questa sia la città che mi è piaciuta di più qui nel sudest asiatico.
Avevo in mente di venire qui già da tempo, d’altronde sto facendo piano piano tutto il sudest asiatico e non potevo certo saltare questa esotica e accattivante nazione, ricca di storia, di magnifici rubini e giade, di persone dai volti sempre dipinti. Ciò che alla fine mi ha portato qui è invece il lavoro, al fotografia. Jacques ed io, insieme ad una giornalista dell’ABC, Annie. (la più grande radio australiana) siamo impegnati nel fotografare gli edifici coloniali in rovina di tutta la città, per conto dell’ YHT (Yangon Heritage Trust). Dapprima era solo una collaborazione, una mano che volevamo dare ad un bel progetto. Dopo il primo giorno abbiamo mostrato le prime foto ed è stato talmente un successo che ci è stato chiesto di esporre alla grande conferenza che si terrà Venerdì primo Luglio, organizzata dall’ YHT e a cui parteciperanno oltre cento invitati compresi il sindaco di Yangon, alcuni storici, architetti di diverse parti del mondo, una delegazione delle Nazioni unite e niente popò di meno che il vicepresidente dell’UNESCO. Si rivela quindi, per ora, il lavoro della vita, la mia (nostra) prima esposizione a livello internazionale a cui seguirà una’altra a Brisbane al museo della fotografia del Queensland, tra qualche mese, se tutto continuerà ad andare secondo i piani (a dire il vero sta andando tutto ben oltre ciò che speravamo).
Il lavoro è stato duro poiché ci siamo ritrovati a lavorare in mezzo ad una disorganizzazione che ricorda i gironi infernali, affrontando anche un paio di tentativi di boicottaggio da chi non ci vede di buon occhio (non si sa perché visto che siamo davvero qui per dare una mano, ottenendo in cambio non denaro, per ora, ma grandissima visibilità). Abbiamo combattuto con una pioggia battente per due giorni intorno la città, tra traffico fortissimo, caos, caldo tropicale, umidità costante che appanna le lenti. Insomma, situazioni al limite, ma ce l’abbiamo fatta, abbiamo prodotto fotografie altamente che stanno riscuotendo un successo che ci inorgoglisce innanzitutto e ci da la carica per continuare a credere nei nostri progetti e sogni.
Arrabbiatissimo e abbattuto per ciò che sta succedendo in Siria, cerco di tirarmi su girando la città per lavoro e per respirarla e rubare ritratti, incontrare persone, scambiare opinioni. La prima cosa che noto è l’abbigliamento degli uomini: praticamente tutti indossano un pareo, che localmente viene chiamato Longi (subito acquistato uno per seguire la mia collezione dopo il bellissimo Sarong Balinese), abbinato sempre con una camicia, rarissimo vedere un uomo in maglietta. Pittoresco è anche il “Tanaka” una sorta di crema vegetale con cui si impiastrano la faccia (alcuni solo le guance) e che in teoria serve per ripararsi dal sole (ma la usano anche di notte) e per rendere la pelle più sofficie, inutile dire che è bellissima a vedersi, ma è totalmente inutile. Chilometri e chilometri a piedi, il primo giorno almeno dodici, tra palazzi, smog abbastanza elevato e questa umidità che rende difficile anche il semplice respirare. Incontriamo Sonny Thien uno uno dei responsabili dello YHT, una persona squisita. Incontriamo la moglie, tedesca trasferitasi qui tredici anni or sono, orgogliosa della missione del marito. Incontriamo tanta gente.
La città ci tratta bene, tranne qualche stronzo, ma si sa, quelli si trovano in ogni tempo ed ad ogni latitudine. Bisonga solo stare attenti a camminare, perché la città è piena di pericolossissime e profonde buche ovunque, spezzarsi una gamba è un attimo se non si fa sempre attenzione a dove si mettono i piedi. Loro sembrano essere davvero abituati, loro che non hanno cognome, come gli indonesiani, dicono non serve, le famiglie qui sono molto unite.
Questione di cultura.
Si dorme poco perché si lavora tanto, ma va bene così, tutto è molto eccitante, l’unico neo è che per via della stagione delle piogge praticamente la maggior parte dei luoghi non sono accessibili, staimo organizzando un piccolo viaggio verso nord, ma a quanto pare, le condizioni delle strade sono così povere, che anche con ottimi autobus, un percorso di cinque o sei ore si tramuterà a quanto pare in un lunghissimo viaggio di quattordici ore, che segnerà i lmio record assoltuo per un viaggio in pullman, sperando ne varrà la pena.
Altro piccolo problema è i ldenaro. Qui devi venire con i soldi in tasca, non c’è possibilità di ritirare denaro, non c’è possibilità di avere un bonifico bancario, non esistono WESTERN UNION o altri ufficili di trasfermianto denaro. In oltre i soldi devono essere Dollari Americani, in perfette condizioni e datate post 2006, in più è difficile cambiare se i biglietti non sono da 100 USD. Un po’ di grane quindi, ma va bene, il posto merita.
Sono andato anche alla ricerca di alcuni rubini, i famosi rubini Birmani sangue di piccione, favolosi, il problema è solo la limitata disponibilità di denaro. Quindi eventuali acquisti si faranno gli ultimi giorni, prima del nuovo ingresso a Bangkok.
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