Myanmar, o Birmania come si chiamava una volta e come ancora la chiamano
i suoi cittadini.
Yangon, la sua capitale. Una città bellissima, dal mio punto di vista,
e con delle potenzialità strepitose. Ricchissima di palazzi coloniali che ti
lasciano di stucco, la pagoda più grande dell’asia, d’oro, nella quale si
trovano alcune reliquie (capelli) del Buddha. Gente ospitale, cordiale, nella
maggioranza. Una città con un’anima fortissima, un’identità spiccata.
Sono rimasto davvero impresso e credo proprio questa sia la città che
mi è piaciuta di più qui nel sudest asiatico.
Avevo in mente di venire qui già da tempo, d’altronde sto facendo
piano piano tutto il sudest asiatico e non potevo certo saltare questa esotica
e accattivante nazione, ricca di storia, di magnifici rubini e giade, di
persone dai volti sempre dipinti. Ciò che alla fine mi ha portato qui è invece
il lavoro, al fotografia. Jacques ed io, insieme ad una giornalista dell’ABC, Annie. (la più grande radio australiana) siamo impegnati nel fotografare gli edifici
coloniali in rovina di tutta la città, per conto dell’ YHT (Yangon Heritage
Trust). Dapprima era solo una collaborazione, una mano che volevamo dare ad un
bel progetto. Dopo il primo giorno abbiamo mostrato le prime foto ed è stato
talmente un successo che ci è stato chiesto di esporre alla grande conferenza che
si terrà Venerdì primo Luglio, organizzata dall’ YHT e a cui parteciperanno
oltre cento invitati compresi il sindaco di Yangon, alcuni storici, architetti
di diverse parti del mondo, una delegazione delle Nazioni unite e niente popò
di meno che il vicepresidente dell’UNESCO. Si rivela quindi, per ora, il lavoro
della vita, la mia (nostra) prima esposizione a livello internazionale a cui
seguirà una’altra a Brisbane al museo della fotografia del Queensland, tra
qualche mese, se tutto continuerà ad andare secondo i piani (a dire il vero sta
andando tutto ben oltre ciò che speravamo).
Il lavoro è stato duro poiché ci siamo ritrovati a lavorare in mezzo
ad una disorganizzazione che ricorda i gironi infernali, affrontando anche un
paio di tentativi di boicottaggio da chi non ci vede di buon occhio (non si sa
perché visto che siamo davvero qui per dare una mano, ottenendo in cambio non
denaro, per ora, ma grandissima visibilità). Abbiamo combattuto con una pioggia
battente per due giorni intorno la città, tra traffico fortissimo, caos, caldo
tropicale, umidità costante che appanna le lenti. Insomma, situazioni al
limite, ma ce l’abbiamo fatta, abbiamo prodotto fotografie altamente che stanno
riscuotendo un successo che ci inorgoglisce innanzitutto e ci da la carica per
continuare a credere nei nostri progetti e sogni.
Arrabbiatissimo e abbattuto per ciò che sta succedendo in Siria, cerco
di tirarmi su girando la città per lavoro e per respirarla e rubare ritratti,
incontrare persone, scambiare opinioni. La prima cosa che noto è
l’abbigliamento degli uomini: praticamente tutti indossano un pareo, che
localmente viene chiamato Longi (subito acquistato uno per seguire la mia
collezione dopo il bellissimo Sarong Balinese), abbinato sempre con una
camicia, rarissimo vedere un uomo in maglietta. Pittoresco è anche il “Tanaka”
una sorta di crema vegetale con cui si impiastrano la faccia (alcuni solo le
guance) e che in teoria serve per ripararsi dal sole (ma la usano anche di
notte) e per rendere la pelle più sofficie, inutile dire che è bellissima a
vedersi, ma è totalmente inutile. Chilometri e chilometri a piedi, il primo
giorno almeno dodici, tra palazzi, smog abbastanza elevato e questa umidità che
rende difficile anche il semplice respirare. Incontriamo Sonny Thien uno uno
dei responsabili dello YHT, una persona squisita. Incontriamo la moglie,
tedesca trasferitasi qui tredici anni or sono, orgogliosa della missione del
marito. Incontriamo tanta gente.
La città ci tratta bene, tranne qualche stronzo, ma si sa, quelli si
trovano in ogni tempo ed ad ogni latitudine. Bisonga solo stare attenti a
camminare, perché la città è piena di pericolossissime e profonde buche
ovunque, spezzarsi una gamba è un attimo se non si fa sempre attenzione a dove
si mettono i piedi. Loro sembrano essere davvero abituati, loro che non hanno
cognome, come gli indonesiani, dicono non serve, le famiglie qui sono molto
unite.
Questione di cultura.
Si dorme poco perché si lavora tanto, ma va bene così, tutto è molto
eccitante, l’unico neo è che per via della stagione delle piogge praticamente
la maggior parte dei luoghi non sono accessibili, staimo organizzando un
piccolo viaggio verso nord, ma a quanto pare, le condizioni delle strade sono
così povere, che anche con ottimi autobus, un percorso di cinque o sei ore si
tramuterà a quanto pare in un lunghissimo viaggio di quattordici ore, che
segnerà i lmio record assoltuo per un viaggio in pullman, sperando ne varrà la
pena.
Altro piccolo problema è i ldenaro. Qui devi venire con i soldi in
tasca, non c’è possibilità di ritirare denaro, non c’è possibilità di avere un
bonifico bancario, non esistono WESTERN UNION o altri ufficili di trasfermianto
denaro. In oltre i soldi devono essere Dollari Americani, in perfette
condizioni e datate post 2006, in più è difficile cambiare se i biglietti non
sono da 100 USD. Un po’ di grane quindi, ma va bene, il posto merita.
Sono andato anche alla ricerca di alcuni rubini, i famosi rubini
Birmani sangue di piccione, favolosi, il problema è solo la limitata disponibilità
di denaro. Quindi eventuali acquisti si faranno gli ultimi giorni, prima del
nuovo ingresso a Bangkok.
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