martedì 6 marzo 2012

Amici, tubing, surrealismo....Fino alla fine del Laos


Una sola notte a Ventiane. Sicuramente meriterebbe almeno un paio di giorni, ma non abbiamo troppo tempo e decidiamo di dare solo un’occhiata veloce, passare la serata col gruppo tra fiumi di birra e poi via verso Vang Vieng.
Vang Vieng, nonostante la bellezza circostante, non è Laos. Un po’ come Varadero non è Cuba. Qui non esiste il coprifuoco, qui è “Party Island”. Festa da tarda mattina alla mattina dopo, passando per il tubing, che tubing non è visto che ti portano all’inizio del percorso, a tre chilometri e mezzo dal paese, dove “inizia” il tubing e ci sono cinque o sei locali stile Mikonos, un esercito di giovanissimi in preda a visioni alcoliche e musica commerciale, vanno tra un locale all’altro sul tubo, rimorchiati da ragazzi che lanciano ancore (fili a cui è attaccata una bottiglia). E’ festa, festa fino alle diciotto: Musica, balli, funi per lanci in acqua, scivoli giganti. Il tubo o ciambellone, andrebbe riportato entro le sei pena una multa, di un paio di euro, entro le otto, pena la perdita della caparra, praticamente se non riconsegni il tubing ti costa 15 euro la giornata. Un'enormità per il Laos. Non ho mai visto nessuno riconsegnare il “tube” entro le sei. Pochi entro le otto, anche perché dalle sei in poi girano i ragazzini che li rubano, la solita mafietta locale. 

Il gruppo, anche se ha perso quell’ottimo elemento che era Dror si compatta molto e si allarga di un elemento straordinario. Anton. Un irlandese spettacolare con un passato di qualche anno a Cristiania, Copenaghen. 
Polly non perde una serata, io Io alterno mestamente  due tre nottate, con un altro paio di mezze serate  e un paio di ritiri al letto molto rapidi. Ho accumulato in questi mesi una stanchezza a cui non sono abituato. Non mi lamento, per carità, fa parte del gioco, va benissimo, semplicemente è una stanchezza, diversa. Sta di fatto che qui in Laos la sto sciogliendo su dolci amache bordo fiume, tradizione che da Don Det è proseguita a Vang Vieng e proseguirà anche a Non Kiew e a Nong Mui Neua.
La prima serata di Vang Vieng si apre con in festa, limbo, versione con l’asta di fuoco. e io lì di fianco a spronare gli amici dieci anni più giovani narrando le mie “gesta” da animatore con le gare di limbo. Considerate la situazione di un piccolo locale su un isoletta su un fiume, il fuoco come luce, ogni singola persona è tra l’alticcio e l’ubriaco (il primo a sentirsi male e vomitare è stato un ragazzo vestito da zombie nella zona del tubing, al primo locale a mezzogiorno). Dopo un po’ perdo la pazienza visto questi pezzi di legno di venti anni e ci provo, con tanto di infradito e birra e la prima passa tranquilla con gli amici che urlano. La seconda ancora liscia, ma scopro che per la prossima devo almeno togliere le infradito e lasciare la birra. Altri due scalini “di fuoco”, la tristezza è che i scalini sono quattro e già al terzo non mi a segue nessuno, ai miei vent’anni era lotta sino all’ultimo. Lo faccio alla prima, con Bryce e Craig che si galvanizzano e allora ci proviamo anche se dico a tutti che l’ultimo “scalino” oggi non posso farlo, non mi piego più così, a vent’anni altro che… Andavo sotto ad un asta appoggiata sul sedile di due sedie come se niente fosse, qui sono almeno venti centimetri di più. Certo c’è il fuoco che te ne toglie un po’. No non lo faccio. Sì lo faccio. No non lo faccio. Nessuno fa nulla, tutti urlano e basta, il fuoco è caldo e l’alcool pure e vabbè, mi farò male, ma ci provo. Pure il limbo sembra essere una cosa seria in una serata di festa fuoco e alcool.
Mi piego, mi piego un sacco, saltellando sugli interni del piede e tirandomi su il costume in una notte caldissima. Vado giù e casco per terra con un bel nooooo generale che mi incoraggia.
Ancora.
Giù, fino a sotto l’asta con il naso, ma cedono le ginocchia.
Ultima volta. La serata del limbo.
Mi lego i capelli più stretto, saltello meglio, sorrido di più, c’è più incoraggiamento, più urla, più forti, più fuoco di prima. Vado comunque giù, niente da fare.
Lascio perdere… Ragazzi, ve l’ho detto, posso fare qualcosa, non più di questo, comunque, più di tutti gli altri e siete dei pezzi di legno mannaggia!
Provo a incitare, ancora gli altri, tra gli abbracci degli amici, sorsate di bucket e una mezza delusione che mi rimane amara, chi mi conosce lo sa, io vado matto per le “cazzate”, ovvero per tutte ste stupidaggini che rendono la vita un più simile ad un gioco anche nell’aspetto, non solo nelle dinamiche. Cose come la giocoleria. Pazienza, ho fatto il mio tempo con il limbo.
La fuochista riparte, alza di nuovo l’asta e il gioco riparte per tutti. Passa mezz’ora, tra altro alcool e altri personaggi incontrati come Filippo, Daniel e Francesco, gli ultimi due attori a zonzo, pazzi di Vang Vieng.  Un genovese subito soprannominato Belin e preso in giro per una taccagneria a cui nessuno sembra mai poter tenere testa, diventa compagno di qualche bevuta.
L’asta prova a riabbassarsi, quasi si muovesse da sola. Nessuno gioca, la ragazza mi guarda. Riprovi? Le mostro il sangue dai miei piedi, scorticati dal terriccio (non siamo sulla sabbia), lì dove sono le cosiddette cipolle, l’osso alla base dell’alluce. Scarnificato e senza parole, ma con uno sguardo significativo le dico che non è più cosa, sono un po’ rattristato, ma questa è la vita, si invecchia un po’. Lei sorride si gira e versa altro  petrolio sull’asta, altro fuoco.
Non dico niente, so solo che il fuoco mi attrae spaventosamente come sempre e allora al diavolo i 33, la schiena, i piedi insanguinati, il ginocchio a pezzi e i tentativi già falliti. Io sto coso lo faccio a occhio chiusi, al diavolo i ragazzini di legno, in fin dei conti, c’è il fuoco, c’è l’alcool, anche questo è rocknroll. Faccio esattamente la stessa cosa delle tre volte precedenti, solo più veloce, meno cerimonia, lo faccio sapendolo di farlo, non è un semplice tentativo.  In stile vecchia scuola vengo alzato in trionfo, con birra e festa generale. Ho vinto un altro bucket, cosa che non sapevo fosse in palio, altro secchiello pieno d’alcool. Altra festa. E’ solo la prima sera, con quello scemo di Craig che Polly chiama Gregghe che ubriaco urla “JIMI IS MY HERO!”.
Segue Luang Prabang, il paesello più carino del Laos, leggermente più costoso, ma c’è un bellissimo mercato del cibo, esteso lungo un corridoio, dove si può mangiare molto bene la sera. E’ un enorme buffet al ridicolo prezzo di un euro.
Qui il coprifuoco torna, ma leggero. I locali più belli rallentano alle undici, rimanendo aperti sino a mezzanotte, poi se si vule proseguire c’è il Bowling. Lì è festa, altro alcool e il casino di palle e birilli. Quattro notti, io ho partecipato al bowling solo l’ultima sera. La fregatura di Luang Prabang è stata che nonostante ci fossimo concessi il lusso di un alberghetto più carino e pulito del solito sono stato assalito da altre Bed Bugs, che mi hanno succhiato il braccio sinistro fino a consumarlo. Luang Prabang possiede anche uno dei luoghi più belli mai visti, che non entra nella top list, ma come minimo va in quella secondaria. Una splendida cascata di cui non ricordo il nome che una volta arrivata giù forma grazie alla sua acqua quattro o cinque piscine stupende, a scalini, purtroppo piene di turisti.
Il bel gruppo finisce qui. Alcuni vanno in Thailandia via Ventiane, altri due giorni di barca e vanno al nord. Solo noi decidiamo di finire tutto il giro quindi destinazione Nong Kiew,  villaggio lungo fiume davvero carino dove spendiamo una notte in un bungalow davvero carino. Giorno dopo Mue Ngoi Neua, dove commetto un errore, decido di rimanere solo tre giorni, invece ne merita di più perché nonostante sia davvero piccolissimo con una serie di bungalow lungo il fiume raccolto tra le montagne. Un posto che raccontare come bello è davvero superficiale. Si raggiunge solo con le tipiche barche long tail, un’oretta da Nong Kiew.
E’ un posto dove rilassarsi se ne hai ancora bisogno, dove fermarsi e incontrare i villaggi circostanti. Un posto immancabile che ancora saltano la maggior parte dei viaggiatori. Mue Ngoi Neua, nonostante i brevissimo tempo scorso mi rimarrà sempre dentro e sono davvero curioso di rivederla tra una ventina d’anni.
La serie di rotture e inconvenienti nei trasposti si arricchisce di un paio d’ore da un meccanico appena lasciata Luang Prabang. Semplicemente la frizione è andata, l’autobus non riesce a mettersi in marcia regolarmente. Non è che controlli prima o una volta scoperto cambi bus o qualcos’altro. No, tutti insieme dal meccanico e poi se ce la faremo si proseguirà. Ripeto: Surrealismo Laoita.
Mueng Sling è la tappa seguente un paesello a sessanta chilometri da Nam Tha, che Polly odierà per il nulla in cui è immerso. A me piace, è davvero un paese strano. Dove cerco di affittare un motorino, ma me ne danno uno rotto e mi dicono se vuoi c’è questo, ma se lo prendi poi devi aggiustarlo tu.... !!???? Beh , no grazie, prendo la bici. Surreale. Qui non c’è più o meno nulla, solo qualche guest house e due o tre ristorantini. Più un'altra serie di ristornatini cinesi, dove si parla solo cinese e laoita, non c’è menu, ma se riesci a ordinare mangi divinamente. Tiro fuori quelle tre o quattro parlo tra mandarino e cantonese che ho imparato e ottengo la seconda miglior cena di tutto il Laos. La migliore sarà due giorni dopo di nuovo a Luang Nam tha, ristorantino nascosto “minority”, semplicemente di un altro livello, nonostante prezzi identici ai baracchini. I Laos effettivamente finisce qui, a Mueng Sling, con una bella gita in bicicletta tra un’innumerevole serie di villaggi dove vendono il miglio oppio del pianeta. Il triangolo d’oro è qui, almeno questa è la parte Laoita, unica delusione il paesaggio è davvero poca roba, brullo e sterile, a differenza del resto del Laos dove in alcuni punti è clamorosamente suggestivo.
Una notte a HouyXai, la cittadina di confine per entrare in Thailandia, ci godiamo sul tetto del nostro alberghetto l’ultimo tramonto Laoita di questo viaggio, ultimo tramonto sul grande Mekong che ora amo tantissimo, che ho imparato a conoscere e che è una ricchezza mondiale da preservare e mantenere. T’ho amato e atteso da prima di conoscerti Mekong, è stata un’emozione impagabile incontrarti, conoscerti con tre diverse lingue (vietnamita, cambogiano e laoita) e bagnarmi nelle tue acque. Grazie, cam’em, òkon o in ultimo Kaup tchai.



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