Mother Parvati è stata tutta d’un fiato. Avrei potuto
scrivere spesso. La vita è fatta così e o seguito il drift della valle.
La famosa Parvati Valley è una valle tagliata dal fiume che
gli da il nome, o che prende il nome dalla valle, va a sapere. Qui comunque
Parvati sia Accoppiava con Shiva, o meglio dire Shankar. Qua sopra, a oltre
4000 metri, dove c’è il Mantala Lake, se dice Shiva venga a fumare il suo
Chillum.
Parvati ha due, o meglio 3, villaggi, più evoluti, giù a
valle sul fiume. Jari, Kasol e Manikaran. Principalmente il turismo giovane si
ferma a Kasol. Così o fatto anch’io visto che il 198 Aprile, quando sono
arrivato avevo voglia di gente.
Poi ci sono i villaggi. Sparsi per la valle, e a dovere
altitudini (siamo a 1600msl a Kasol), Pulga, Khalga, Nakthan, Malana e Magic
(che per gli abitanti di qui questa parte è Malana Valley o Magic Valley),
Ghrahm, Chalal, Lapas, Kiriganga, Katagla, Tosh, ed altri.
La valle oltre ad essere bellissima e ad offrire magnifici
sentieri per il trekking qui sull’Himalaya, perché va ricordato che siamo sull’Himalaya
(qui Shiva è davvero di casa!), il posto è famoso in India e nel mondo per la
sua produzione di Charras. Qualcosa di molto simile all’Hashish.
Per capire davvero la valle e non essere chiusi con la mente
di fronte ad una forma di THC (tra l’altro qui è legata a cultura e religione),
bisogna usare l’immaginazione e vedersi in posti come il Bordeaux o la Coté
D’Or. Il Charras è molto simile al vino e la Parvati Valley diventa quindi
simile al Bordeaux, con tanto di fiume. Nel Charras come nel vino conta tutto:
conta la pianta, conta il terreno, conta la posizione,
l’altitudine, il versante della montagna. Conta quindi in che villaggio è stata
prodotta, e come il vino anche qui il charras prende il nome del villaggio di
produzione e ovviamente l’annata, anche se in questo caso, a parte le leggende
di Malana che spiegherò in seguito e a parte poche personali conserve, il
charras finisce lo stesso anno di produzione, la richiesta è troppo elevata
(infatti da diversi anni orami si trovano porcherie con tagli di ogni tipo) e
comunque solo i charras di primissima qualità, chiamati ormai da diversi anni
CREME, possono rimanere buoni, o migliorare con qualche anno di stagionatura.
Detto questo conta l’etichetta, ovvero chi ha fatto il charras, quale famiglia.
Si può facilmente immaginare la grande varietà che si incontra. Come nel vino
bisogna imparare come assaggiare, o almeno bisognerebbe. Si può capire la
pulizia, il gusto, si colgono sentori di ogni tipo. E' un mondo che spesso
rapisce anche chi non era interessato al charras a priori. La verità è che è incredibilmente
buono a prezzi bassi o relativamente bassi (sempre se si è in grado di
affrontare ed evitare le solite fregature), e come il vino ti lascia una
meravigliosa sensazione per un po’.
Il charras si “dovrebbe” consumare solo con i Chillum. Così
vuole la tradizione. Shiva non si fa le canne. Poi, chiaro, ognuno fa come
vuole, anche perché fumare un chillum da soli è cosa per pochi, è abbastanza
duro.
Un chillum, per chi non lo sapesse, è una sorta di pipa
dritta, un cilindro leggermente conico fatto in terracotta. La mistura di
charras e tabacco viene messa all’interno dal foro superiore. All’interno del
chillum c’è la “pietra”, generalmente esagonale, ma possiamo trovarla anche
tonda con solchi a canale semisferico, lungo tutta la sua forma (vanno di moda così
ora). La pietra dovrebbe essere lunga, una cosa come 3-4 il chillum, più o
meno. I chillum vanno da corti, i ciota,
quelli dei baba, a lunghi, i Bhara, circa 23 cm, per fumare meglio.
Teoricamente il chillum dovrebbe essere di pura argilla
cotta almeno a 900°. I migliori sono tra
i 23 e i 26 cm e belli tosti, non esili e magri come li fanno ora, che sono più
fancy, ma chiaramente l’argilla terrà meno il calore. L’ideale è un chillum in
argilla senza nulla in aggiunta, no lucidi, no coloranti né altro. E’ ovvio che
vista la clientela di ogni tipo, oggi si trovano pezzi d’arte, bellissimi
coloratissimi chillum, che spesso si fumano male, o semplicemente puzzano.
I chillum sono stati inventati dagli indiani, qui
sull’Himalaya. Però come sempre se vuoi una cosa fatta bene la fai fare agli
italiani (se ci pensate noi non abbiamo inventato NULLA, noi vediamo e
reinventiamo facendo un lavoro nettamente migliore – basti pensare a caffè,
pizza, spaghetti, ravioli, abbigliamento di lusso, radio, macchine, parlo della
Ferrari e della Lamborghini, non della fiat… e Chillum - ). Vedete qui in
Parvati quando il turismo praticamente non esisteva. Nemmeno per gli indiani,
sono arrivati pochi italiani. I primi, a Malana ancora raccontano le storie.
Non dico che un italiano sia il primo straniero che abbia messo piede a Malana,
dico che gli italiani sono i primi ad esser venuti in serie, primissimi anni ’70. Io la prima volta che ho
sentito parlare di charras, senza saper bene che fosse (a parte il fatto di
essere un prodotto della canapa), eravamo nella seconda parte dei ’90. Qualcuno
mi diceva fosse una particolare mistura di hashish e marjuana. Poi l'ho
assaggiato, quello vero almeno, nel 2004 ad Amsterdam, in Italia echeggiava
questa leggenda del Malana Cream, che vinse il titolo di miglior prodotto dell’anno
nel 2003. Leggende.
Il posto chiave, dove tutto è iniziato è Malana.
Un posto incredibile, dove i bambini non battono le ciglia e
ti parlano nella lingua dei demoni. Un posto dove la gente ha sempre questo
sguardo consapevole, aperto, spiritato. Qui sei un’intoccabile e sarai per
molto trattato da tale. Qui sei considerato non solo inferiore, ma sporco. Non
conta che i tuoi occhi e la tua realtà ti raccontano l’esatto opposto. Non puoi
toccare niente e nessuno o non solo sarai multato, ma perderai fiducia e
credibilità futura. E' un posto poi non così bello, considerando gli altri villaggi, ma la vista
resta sempre incredibile. Siamo a 2700 metri sull’Himalaya. Shiva è sempre
Shiva, ma il protettore locale è Jamdagmi, un altro Lord. Malana produce, il
miglior Charras del mondo (una volta il charras era prodotto solo sull’Himalaya).
Per il fatto che è diventato così famoso, ormai la vera crema di Malana è quasi
introvabile, ha prezzi più elevati e di conseguenza valle e villaggio sono
pieni di prodotti di seconda, terza, quarta scelta più le varie misture con
qualche olio porcheria o foglie varie. La fregatura è ovunque. Per esser sicuri
bisogna non solo conoscere, ma provare. Vista, olfatto e gusto. Come il vino.
L’India è inondata di “Malana Cream”, tanta gente, tantissima ne ha le tasche
piene. Eppure la verità è che di questa ondata, solo l’1 percento è reale e
quasi tutto questo un percento si trova ancora qui a Malana o nella Parvati
Valley. Uno dei segreti di Malana è che la crema del tempio, quella che solo
gli abitanti di Malana possono fumare e solo nel tempio, sia fuori da ogni
grazia di Shiva, un gusto trascendentale. Leggende, vai a sapere. Si dice che a
Malana ci siamo conserve di charras anche di un secolo. Leggende.
Malana è amata da pochissimi. E’ un dato di fatto, come dato
di fatto è che se sei italiano e ti comporti a modo, qui a Malana dopo un poa
sei di casa. Grazie a chi è venuto prima e grazie al fatto che il turismo
italiano classico qui non viene. Non c’è figa. Non ci sono locali. Non c’è il
mare. Generalmente non c’è nemmeno il cesso.
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